Corona choc: come un cannibale si è morso il braccio fino a lacerarsi. «Sono pronto a morire per i miei diritti»

Corona choc: come un cannibale si è morso il braccio fino a lacerarsi. Tuona: «Sono pronto a morire per i miei diritti»
Corona choc: come un cannibale si è morso il braccio fino a lacerarsi. Tuona: «Sono pronto a morire per i miei diritti»
di Simona Romanò
Lunedì 22 Marzo 2021, 17:08 - Ultimo agg. 23:26
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Fabrizio Corona, piantonato e sorvegliato 24 ore su 24 nel reparto psichiatria dell’ospedale Niguarda, si è reso protagonista di un altro gesto di autolesionismo. Oltre a proseguire con lo sciopero della fame e della sete dopo la notizia del provvedimento che ha disposto il suo ritorno in carcere lo scorso 11 marzo. L'ex re dei paparazzi ha affidato in una missiva, letta a Non è l’Arena da Massimo Giletti, la descrizione del male che si è procurato.

 
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«Voglio che Massimo sappia cosa mi è successo ieri, una storia bruttissima.

Ho chiesto di poter andare in bagno a fumare, mi hanno dato un accendino. Sono controllato a vista da tre uomini della polizia penitenziaria. Mi siedo sul water e mi metto a fumare a torso nudo, i pantaloni tirati su. Vedo sul mio braccio destro la ferita del giorno prima, due punti di sutura che mi sono fatto pugnalandomi con una penna», legge Giletti.

«La guardo, fumo, la riguardo. A quel punto scatta qualcosa nel mio cervello. Provo a scavare nella ferita. Sono da solo in un cesso schifoso, circondato da urla di povera gente disgraziata. Mi avvicino con la bocca alla ferita, a poco a poco spingendo sempre di più riesco ad afferrare i punti del giorno prima con la bocca e con i denti. Li tiro, si rompono».

I particolari sono agghiaccianti: «Schizza il sangue ovunque, sulla faccia, sulla bocca, sugli occhi, sulle braccia, sul petto. Sento uno strano sapore, mi piace. È amaro. E continuo, sono convinto che nella ferita ci siano i pezzi di vetro dell'ambulanza rotta. È notte e come un cannibale mordo tutto: pelle, fili di punti, carne, tatuaggi, pezzettini di vetro. Sono incontenibile, non ho più freni». 

La lettera è lunga: «Di colpo si apre la porta e cinque infermieri vedono un uomo di 47 anni seduto sul cesso, tutto sporco di sangue che si mangia il suo braccio. C'è chi urla, chi piange, chi mi abbraccia, io sono impassibile, guardo solo il vuoto. Sono uno psicopatico in un ospedale psichiatrico»

E ancora: «Sono in una stanza singola, vuota. Non c'è tv, non c'è radio. Le finestre sono chiuse e non c'è nessun tipo di vetro. Nulla con cui mi possa ferire. È un reparto con altri 15 pazienti, uno dei migliori del Niguarda. Massimo, io da qui non posso uscire perché sono detenuto. Ho tre persone che mi controllano a vista. C'è però un'enorme finestra da dove entra uno splendido sole. Non mangio da 9 giorni, bevo mezza bottiglia d'acqua e due caffè d'orzo. Lavoro, scrivo, leggo e mi alleno tutti i giorni senza forze, per terra. Determinazione». 

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