Diana, principessa
e icona pop

Diana, principessa e icona pop
di Roberto Bertinetti
Venerdì 25 Agosto 2017, 08:28 - Ultimo agg. 13:00
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Pochi anni bastano per trasformare una timida e giovanissima aristocratica in figura iconica in ambito planetario, donna tra le più popolari e amate degli ultimi anni del secolo scorso. Il divorzio dal marito l’aveva privata del titolo di Altezza reale. Ma per molti, che la piangono dopo la morte, è l’incarnazione perfetta della naturale nobiltà di cuore di un’élite femminile alla quale, silenziosamente, si chiede di promuovere e dirigere un profondo mutamento nel mondo, di favorire la pace e lenire le ferite causate dalle diseguaglianze sociali.


Lo spontaneo cordoglio popolare dell’intera Gran Bretagna trova una sintesi e un simbolo nell’enorme distesa di fiori davanti alla cancellata di Buckingham Palace, la residenza reale dove Elisabetta II rifiuta di tornare da Balmoral, in Scozia, tradizionale meta delle vacanze estive. È una scelta duramente contestata dai media e dai sudditi. La sovrana a lungo resiste agli inviti del premier Tony Blair di rientrare a Londra e, soprattutto, di mostrarsi in sintonia con un popolo che, per la prima volta nella storia, non ha timore di dar libero sfogo in pubblico alle proprie emozioni e piange il suo dolore nelle strade. Infine Elisabetta è costretta a cedere: ha capito che il suo silenzio rischia di provocare un danno molto serio all’immagine dei Windsor. Vola a Londra, ordina di far issare una bandiera a mezz’asta sul pennone di Buckingham Palace, stringe le mani della folla in lacrime che veglia davanti alla residenza reale e, alla vigilia del funerale, appare a reti unificate sugli schermi nell’ora di massimo ascolto. Indossa un abito nero e pronuncia un breve discorso, che inizia con un’esplicita richiesta di scuse.


Afferma infatti: «Ognuno di noi ha cercato di reagire a modo proprio. Non è facile esprimere il senso di perdita perché allo choc iniziale segue spesso una mescolanza di sentimenti diversi: incredulità, rabbia, preoccupazione per chi resta». Quindi aggiunge: «Durante gli ultimi giorni tutti noi abbiamo provato questi sentimenti. Quello che sto per dirvi adesso come vostra regina e come nonna mi viene dal cuore». È il centro emotivo dell’intervento della sovrana, che parla «come regina e come nonna», ovvero come custode di un potere con antiche radici e persona comune, angosciata per i nipoti rimasti orfani. Sono le parole che favoriscono la riconciliazione con l’Inghilterra, seguite da un esplicito omaggio a Diana: «Era un essere umano eccezionale. Io l’ammiravo e la rispettavo per la sua energia e il suo impegno verso gli altri, per la dedizione verso i suoi due ragazzi. Chiunque abbia conosciuto Diana non potrà dimenticarla. Io, per parte mia, credo ci sia una lezione da trarre dalla sua vita e dalle commoventi reazioni alla sua scomparsa. Possano coloro che sono morti riposare in pace e che ciascuno di noi possa ringraziare Dio per una donna che ha reso molte persone felici». Non appare certo entusiasta Edward John «Johnnie», visconte di Althorp, il primo luglio 1961, quando viene informato che la moglie Frances ha appena dato alla luce una bambina, la terza figlia della coppia che desidera un maschio al quale trasmettere il titolo e le proprietà dei conti Spencer.


«Non abbiamo ancora scelto il nome», dichiara il giorno successivo a un quotidiano locale. Per tradizione i maschi si chiamavano John o Charles (e proprio Charles verrà battezzato in seguito il quartogenito), per la neonata si decide di rendere omaggio alla sorella del primo conte Spencer, venuta al mondo all’inizio del Settecento. Gli Spencer sono tra le famiglie più titolate d’Inghilterra, nel loro albero genealogico troviamo i discendenti di due re, un duca e persino un santo. La madre è Frances Burke Roche, di nobili origini angloirlandesi, indipendente e forte di carattere, luminosi occhi azzurri e capelli biondi, che un paio d’ anni dopo la nascita di Charles si innamora di un altro uomo, lascia la villa degli Spencer nel Norfolk, si trasferisce con lui a Londra e chiede il divorzio dal marito. Una scelta destinata a suscitare scandalo in un ambiente nel quale le relazioni adulterine sono la norma, mentre le rotture matrimoniali sancite dalla sentenza di un giudice rappresentano un’eccezione ritenuta intollerabile. Per i bambini il trauma è profondo, come testimonia un collaboratore del visconte: «Lord Althorp era assente da casa per lunghi periodi, Diana se ne stava spesso per conto suo in silenzio. I piccoli non piangevano mai durante il giorno, singhiozzavano di notte dopo essere andati a letto». Le ragazze ricevono un’istruzione di bassa qualità in collegi esclusivi, scelti all’unico scopo di permettere loro di allacciare legami sociali utili per il futuro, al contrario di Charles, educato con la cura che ogni Spencer maschio si ritiene meriti. Il legame tra «Johnnie» e i figli si fa burrascoso quando Althorp inizia a essere frequentata da Raine McCorquodale, figlia della scrittrice di bestseller rosa Barbara Cartland, e presto diventa chiaro che questa signora, molto determinata e ambiziosa, ha buone possibilità di diventare la seconda consorte del visconte. La notizia delle nozze civili celebrate a Londra nell’estate del 1976 arriva in casa attraverso i giornali, e la reazione dei quattro figli al rientro della coppia è furibonda. Raine ha «rubato» il padre e il padre va punito per aver permesso «il furto». Ecco l’episodio ricostruito in seguito da Diana:



«Mia sorella Sarah mi telefonò dicendo: “Papà ha sposato Raine”. “Come fai a saperlo?” domandai. “È sull’Express”.
Poi Sarah aggiunse: “Adesso Duch” – il mio soprannome era Duch – “vai a sistemarlo”. Lui esordì con: “Voglio spiegarti perché ho sposato Raine”. “A noi non piace”, dissi io. Replicò: “Imparerete ad amarla come ho fatto io”. “No, non impareremo”, ribattei. In quel momento ero una piccola crociata, mi arrabbiai sul serio e gli diedi uno schiaffo dicendo: “Da parte di tutti noi per averci fatto del male”, e abbandonai la stanza sbattendo la porta. Lui mi seguì, mi prese per un polso facendomi voltare e disse: “Non parlarmi più in questo modo”. Io ribattei: “Bene, e tu non farci mai più una cosa del genere”, e mi allontanai».
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