Rimangono chiusi nella loro cameretta, restano svegli di notte e dormono di giorno, non vanno a scuola e non vedono più gli amici. Non per qualche giorno, ma per mesi e mesi. In Giappone, dove il fenomeno è esploso in massa negli anni ‘80, li chiamano “hikikomori” (Foto tratta dal cortometraggio Soli, insieme del regista bellunese Lorenzo Cassol): giovani e giovanissimi che si autoescludono dalla società. Una condizione di disagio arrivata dall’estremo oriente e approdata anche in laguna: a Venezia, nel 2021, sono stati riscontrati i primi tre casi. Tre ragazzini tra i 15 e i 16 anni che, dopo l’isolamento forzato legato al covid, dopo la didattica a distanza e il lockdown, non sono più usciti di casa. «Abbiamo un caso particolarmente grave - spiega Ambra Cappellari, responsabile del polo adolescenti di Mestre e Venezia che attualmente li ha in cura - che non esce più dalla sua camera, e due più lievi, che vivono un isolamento parziale. Questo significa che almeno una volta ogni quindici giorni vanno a scuola».
Il fenomeno
Hikikomori in giapponese significa “staccarsi”, “ritirarsi”. E in effetti è la forma più estrema di ritiro sociale, in isolamento nella propria casa. «In realtà non esiste ancora una definizione ufficiale - aggiunge Moreno De Rossi, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Ulss 3 - nel senso che non è stata ancora inclusa nei manuali. Ma il fenomeno è in espansione per cui sono stati delineati alcuni criteri di massima per riconoscerlo: il marcato isolamento in casa e il rifiuto delle relazioni sociali, deve durare almeno sei mesi e deve portare a una significativa compromissione sul piano funzionale. Significa, cioè, che la persona non va a scuola o al lavoro». Esiste una diversa gradazione di gravità, come si è visto anche per i tre adolescenti veneziani, la fascia d’età maggiormente colpita va dai 15 ai 30 anni e riguarda soprattutto i maschi (le stime dicono che il rapporto è circa 9 a 1 rispetto alle femmine).
«C’è chi la definisce una “Depressione moderna” - continua De Rossi - che si sovrappone alla fobia sociale che ma ha anche caratteristiche ben precise: la tendenza a connettersi sempre in rete, per esempio. Rifuggono le relazioni reali, ma fanno crescere quelle virtuali, con chat e videogiochi online. Una delle ipotesi e che possa essere una reazione alla grande pressione che sentono i giovani: autorealizzazione, un’immagine vicente da dover dare per forza. Non a caso il fenomeno è nato in un Paese in cui il livello prestazionale richiesto è molto alto. Questi ragazzi è possibile che scelgano (inconsciamente, anche) questa forma di suicidio sociale per opporsi alla pressione».
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Effetto Dad
Questi tre casi sono stati intercettati nel 2021, in concomitanza con la ripresa delle scuole in presenza. Sono aumentati, in realtà, tutti i casi di ritiro scolastico (ragazzi che non vanno più a scuola, gli hikikomori sono le situazioni più estreme di questo ritiro sociale): all’Ulss 3 ne vengono segnalati dieci al mese. «Le chiusure hanno influito - prosegue il direttore - parliamo di soggetti fragili che, durante la Dad, hanno provato un senso
di sollievo dall’ansia. Per loro probabilmente è stato impossibile, quindi, tornare alla vita precedente al covid». Come stanno, adesso, questi ragazzi? «Stanno lentamente migliorando - spiega Cappellari - anche quello più grave ha cominciato, lentamente, a tornare in classe. I casi ci sono stati segnalati direttamente dai genitori, ma in ritardo, quando ormai le forme erano già acute». Non c’è una vera e propria terapia, non c’è una cura. In questi casi si è costretti a procedere per tentativi: «Cerchiamo di entrare nel sistema del ragazzo, non possiamo chiedergli banalmente di uscire - prosegue la dottoressa - Dobbiamo capire quale sia il vuoto che cerca di colmare e trovare qualcosa con cui lui stesso possa riempirlo. Per essere chiari: se è dipendente da internet, non posso togliergli la connessione e pensare di risolvere il problema». Fondamentale per gli specialisti che la famiglia collabori («molto spesso la vergogna iniziale è un blocco, bisogna accettare di avere una nuova dinamica in casa: i miglioramenti arrivano dove i genitori ci seguono») ma che anche la scuola accetti di cambiare prospettiva. «Gli istituti devono prevedere un percorso didattico su misura per questi adolescenti - conclude Cappellari - anche perché questi tre adolescenti sono ragazzi molto intelligenti, non possono e non devono rimanere indietro a causa di una loro fragilità».