Coronavirus, spopola l'hashtag #iorestoacasa ma sui social l'Italia è divisa: panico o superficialità?

Coronavirus, spopola l'hashtag #iorestoacasa ma sui social l'Italia è divisa: panico o superficialità?
di Delia Paciello
Martedì 10 Marzo 2020, 12:04 - Ultimo agg. 11 Marzo, 10:28
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Non è fantascienza, è tutto vero: sta accadendo sul serio ed è proprio come in quei film che sembravano tanto lontani dalla realtà. C’è il virus letale che ha bloccato tutta la nazione mettendo in serio pericolo la popolazione, costretta alla quarantena: detta così ricorda davvero trame già sentite. Forse anche per questo in tanti hanno sottovalutato l’emergenza coronavirus comportandosi con estrema superficialità e obbligando il governo a prendere decisioni più severe per dettare regole precise lì dove il buon senso non basta, o forse manca del tutto: come se nulla fosse infatti, nonostante i numerosi avvisi e i primi decreti ministeriali in tanti non hanno rinunciato alla movida scatenando gli attacchi dell’altragrande fetta di italiani sui social. «Non possiamo più uscire a causa degli stupidi che non hanno rispettato le norme. Ora speriamo non sia tardi»; «Egoismo e incoscienza, non pensano che oltre a mettere a rischio sé stessi potrebbero mettere a rischio i loro cari?»; «L’ignoranza non permette di capire la gravità della situazione: qui si continua a fare baldoria ai baretti affollati e i locali non chiudono»; «Egoismo allo stato puro, ragazzi in giro per locali affollati mentre i vecchietti che verranno contagiati da un giovane davanti alla necessità di una rianimazione potrebbero morire per salvare proprio quei ragazzi incoscienti e menefreghisti»; «Una vergogna, meritiamo di estinguerci, lo vogliamo noi con questi comportamenti depravati», e su questa scia migliaia di denunce arrivate dai social nelle ultime ore. Ma dall’altra parte la schiera via via meno numerosa di chi parlava di «terrorismo mediatico», di «sensazionalismo nei titoli di giornale per ottenere click», di esagerazioni solo per diffondere panico mentre si annunciavano i brindisi di gruppo per stemperare la paura. E così facendo in pochi giorni il web è volato dall’hashtag #litalianonsiferma a #litaliasiferma, eccome se si ferma.
 

 

Lo stop è arrivato attraverso le parole di Conte in diretta su Rai1 e l’annuncio dell’ennesimo decreto in vigore dal 10 marzo. Così la nazione si riunisce: stavolta non è solo il Nord zona rossa, ma tutto lo stivale sarà soggetto a forti restrizioni. «A lavoro però molto di noi possiamo andare, lì non temono per la nostra salute», puntualizzano subito sui social in tono polemico. Una scelta dovuta forse quella di allargare le restrizioni su tutte le regioni dopo le vergognose fughe di chi, credendosi in salute, voleva scappare dalla quarantena: «Un esodo non commentabile quello di coloro che, non accusando sintomi, non si sono fregati di poter però contagiare altri e si sono spostati in massa verso Sud per non subire restrizioni», accusano i meridionali. E incalzano: «Meritiamo sorveglianza, contageranno anche noi che non abbiamo le strutture efficienti come in Lombardia. Qui moriremo in tanti»; «È omicidio colposo quello dei vigliacchi che si spostano aumentando il contagio e di conseguenza le vittime, così come quello degli irresponsabili che non usano accortezze. Ci vuole l’arresto»; «Se fosse scoppiato al Sud il primo caso italiano? Ci beffeggiano per il colera, ma non ricordo che salivamo al Nord durante l’epidemia: che vergogna».

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Fra discussioni e polemiche intanto si ferma anche la Serie A, lo ha deciso il Governo; e le persone perdono anche questa distrazione mentre per molti l’unica cosa concessa resta il lavoro, e a cuor pesante. Ma neanche le nuove norme sono bastate a far capire la gravità della situazione, perché prima che il decreto diventasse esecutivo in tanti sono corsi in massa in piena notte ai supermercati h 24 per le scorte alimentari: a quanto pare è più forte la paura di morire di fame e di non poter uscire a fare compere piuttosto che quella del coronavirus. E allora l’ennesimo fallimento, ancora una dimostrazione di incoscienza degli italiani. Forse perché in tanti pensano: «Io sto bene, non capiterà a me e ai miei cari»; per altri ancora la convinzione che sia una semplice influenza. Ma magari lo fosse: i numeri dicono altro. Nessuna influenza si è mai diffusa così rapidamente creando crisi respiratorie così frequenti, superabili solo grazie a delle macchine. E la prospettiva del collasso degli ospedali sembra un presagio lontano solo a chi ignora i dati. Secondo gli ultimi numeri circa una persona su 9 fra i contagiati sopravvive grazie a delle macchine durante le crisi respiratorie, e non esistono a sufficienza per tutti. E alcuni studiosi di calibro internazionale che già da mesi annunciavano la pandemia senza essere presi in considerazione, fanno presente che molti danni, anche per chi supera il virus, restano irreparabili. Lo dichiara anche la dottoressa Dena Grayson, che ha lavorato con equipe internazionali alla cura per l’ebola e la Sars: «Dalle ricerche fatte in Cina gli esperti hanno definito la pericolosità del coronavirus una combinazione di Sars e Aids poiché danneggia sia i polmoni che il sistema immunitario e può causare danni irreversibili ai polmoni anche se il paziente sopravvive», scrive su Twitter accanto a numerose incitazioni per contenere il virus.
 
 

Ma contemporaneamente Stephen King scrive la sua, da esperto, sempre su Twitter scatenando critiche e applausi dei fan: «No, il coronavirus non è come L’ombra dello scorpione. Non è così serio, è possibile sopravvivere. State calmi e prendete tutte le precauzioni necessarie». Se non fosse che questa frase per una gran fetta di persone è stata tradotta come: il virus non è nulla, continuate a fare sereni le vostre solite cose. In gran contrasto contro quello che sta avvenendo nel Paese e contro il decreto ministeriale per superare la situazione drammatica.

Così c’è chi non accetta, e l’Italia si divide: c’è chi pensa al complotto, ma forse non sarebbe stata l’Italia il primo paese europeo ad essere colpito; chi pensa alla messa in scena politica, ma difficile capire a favore di chi; chi pensa al piano economico per distruggere l’economia, ma forse per ora non esistono vincitori. E chi si aggrappa alle parole che più preferisce, traducendole a modo suo.

Tuttavia quasi sicuramente alla fine di tutto questo si dovrà fare i conti con una grossa crisi economica quasi come in un dopoguerra, ma questa sarà proporzionale allo stop che dovrà subire il paese, che a sua volta dipenderà dalla reazione degli italiani. Se tutti avessimo avuto più senso civico, forse avremmo potuto contenere l’epidemia senza ricorrere a provvedimenti drastici che tendono a fermare tutto lo stivale, che se non rispettati alla perfezione potrebbero solo prolungarsi e inasprirsi per il bene della salute pubblica. Insomma può solo andare peggio se non si seguono le norme e se non si impara ad aver rispetto della vita prendendo coscienza della gravità della situazione. E allora niente panico, ma sana paura. Come quella che si ha per il fuoco: sappiamo che brucia e ci proteggiamo, viviamo sereni evitandolo. Allo stesso modo si dovrebbe cercare di agire con il coronavirus.
 
 

E mentre l’Italia è frazionata ancora fra chi resta a casa con coscienza e intelligenza e chi prova a fregare il decreto, ci sono medici e infermieri che fanno enormi sforzi per salvare vite umane, in primis in Lombardia. Allora inutile raccontare le storie vere di chi patisce pene dell’inferno in rianimazione, o di chi perde i propri cari da un momento all’altro se c’è chi non vuol vedere e nasconde la testa sotto terra. Perché questo è un male bastardo, prevede una lunga incubazione e poi mentre si sta bene se si è sfortunati subentrano crisi respiratorie difficili da superare senza pronto intervento.

«Ma i morti erano tutti vecchi», commentava qualcuno. I primi sì, sono quelli che hanno resistito davvero poco. Poi sono deceduti anche giovani, e i contagi e le morti aumentano esponenzialmente ancora oggi. E se è comunque vero che le persone maggiormente a rischio sono gli anziani o chi già soffre di patologie, perché condannarle a morte? Ed è bene ricordare che nessuno è matematicamente esente se a contatto col virus, e che non sarà possibile salvare gran parte della popolazione se non si rallenta la diffusione.

E intanto diventa facile il paragone sulla reazione della Cina e quella dell’Italia davanti al problema: sui social volano meme e ironie. «Mentre i cinesi hanno sospeso tutto, quarantena ed esercito per sanificare le strade e costruiscono ospedali in dieci giorni diminuendo ora i contagi, gli italiani nei primi 15 giorni hanno litigato sull’esistenza del virus, accusandosi fra loro che era solo colpa della maglia della salute. Poi sono arrivati i primi morti, ma erano vecchi, e allora si brindava insieme per stemperare la paura. D’altronde è solo un’influenza come tante. Poi sono arrivati gli altri decessi, e allora le zone rosse, poi la fuga, poi la corsa ai supermercati, poi si rimandano le partite, poi si recuperano, poi le zone arancioni,  poi si fa l’amuchina in casa, poi si mette la scopa in piedi, poi si chiudono le scuole e allora tutti in vacanza, poi apriamo gli stadi e li richiudiamo, poi tutti in discoteca, poi si chiudono le discoteche e si corre al supermercato, poi si sospende il campionato, poi tutti al Sud, ma… ops, non ci sono gli ospedali attrezzati, e allora facciamo insieme le scorte», è il post che ha fatto il giro del web.
 

Confusione, tanta confusione, mentre per molti continua a mancare la coscienza del grave rischio in termini di vite umane che il Paese può correre se non si collabora con intelligenza e accortezza per sé stessi e per il prossimo, senza isterismi e panico. Il virus si nutre di ignoranza e incoscienza, e grazie a esse si diffonde. E allora l’unica chance per l’Italia forse è che si unisca contro questo.

«E allora adesso cosa facciamo?», si chiedono in tanti costretti per via maggiore a rinunciare all’aperitivo, alla disco, a quello che per tanti è svago e condivisione. Sarà un mese di riflessione, senza abbracci e saluti affettuosi. Il virus ci nega la nostra voglia di affetto, di socializzazione. Resta il web e la tecnologia per comunicare, e ci sarà modo di riflettere. D'altronde non ci stanno choedendo di andare in guerra come accadde ai nostri nonni, ma di restare comodamente a casa per limitare qualcosa di più grave. «Salveremo il mondo in pigiama sul divano», ironizza qualcuno; ma in fondo è davvero così. Mentre ancora c'è chi sdrammatizza: «Ricordate quando il problema erano i 2cent della bustina dell'ortofrutta?». E così l’Italia oggi si ferma, ma è solo momentaneo. La nostra vita no, se oggi restiamo tutti a casa. #iorestoacasa

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