Lady Diana, l'icona intramontabile della principessa triste

Lady Diana, l'icona intramontabile della principessa triste
di Lorenza Fruci
Domenica 28 Agosto 2022, 09:00 - Ultimo agg. 29 Agosto, 08:10
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La mattina del 31 agosto di 25 anni fa scendevo da un treno, di ritorno da un lungo viaggio in Europa. Ad accogliermi alla stazione mio padre che, dopo avermi tolto lo zaino dalle spalle come gesto di saluto affettuoso, a freddo mi disse «Stanotte a Parigi è morta Lady Diana». Appresi così del drammatico incidente d'auto in cui perse la vita la principessa, insieme al compagno Dodi Al-Fayed e all'autista Henri Paul. Rimasi molto colpita dall'informativa di mio padre, uomo critico nei confronti dei privilegi aristocratici e di tutto ciò che era glamour o pop. Per lui esistevano solo notizie sui diritti dei lavoratori, ma il fatto che avesse sentito il bisogno di comunicarmi quello che era accaduto mentre io dormivo in cuccetta, mi diede la misura della tragedia dell'evento e della forza immaginifica che Diana emanava.

Principessa del Galles dal 1981 al 1996, anno del suo divorzio da Carlo, il suo potere si può riassumere nel suo rapporto con i mass media. Giornalisti e fotografi si appostarono sotto il suo appartamento dal momento in cui si vociferò che potesse essere la papabile futura fidanzata del principe Carlo, e proseguirono a seguirla in ogni suo spostamento, fin nella galleria sotto il Pont de l'Alma a Parigi dove trovò la morte nel 1997. Aveva potenza mediatica sia per la sua storia che per il suo charme naturale misto al suo carisma timido; il suo carattere contradditorio la svelava creatura complessa, a tratti indecifrabile ma per questo attraente. 

L'ingenuità e l'insicurezza, comunicate dal linguaggio del suo corpo durante le prime interviste e apparizioni pubbliche, esprimevano un'autenticità giovanile (aveva solo 19 anni quando si fidanzò con Carlo, che invece ne aveva 32) che conquistò gli inglesi. Scardinando in maniera involontaria lo stereotipo dello standing degli aristocratici, entrò in contatto con il popolo, dando un'immagine più umana dei reali. E quella sua vulnerabilità, che la faceva piacere alla gente, contemporaneamente bucava gli schermi. Nelle uscite ufficiali accanto a Carlo, e spesso senza neanche parlare, a brillare era lei. Con il tempo Diana acquisì consapevolezza della sua forza attrattiva, prese confidenza con i media - prima intuendone e poi imparandone le regole - e iniziò ad apparire sempre più disinvolta. Tuttavia senza snaturarsi, mantenendo il suo distintivo sguardo dolcemente obliquo. Mai sfrontata, ma capace di far sentire la sua presenza, i suoi abiti iniziarono a farsi parola. Divenne un'icona di stile.

Poi ambasciatrice per le cause umanitarie e sociali, e madrina di grandi beneficenze. Affamata di amore, si consolò nutrendosi dell'attenzione e della morbosità dei mass media. Fino a rimanerne vittima quando decise di utilizzarli per rivendicare sé stessa e i suoi sentimenti. 

Speculare alla relazione tra Diana e la stampa, c'era poi il pubblico a cui la narrazione era destinata: dalle foto della giovane «sloane» (ragazza della classe medio-alta inglese), alla prima intervista con il fidanzato Carlo, al matrimonio e ai doveri reali, al libro rivelazione del 1992 Diana. La sua vera storia a firma di Andrew Morton, all'intervista del 1995 ottenuta con l'inganno dalla Bbc. Le vicende pubbliche e private della principessa diventano materiale da romanzo, in cui il popolo/lettore prima sogna, assistendo all'iniziazione della favola, poi comincia ad amare la protagonista per la sua empatia, si identifica con lei quando viene rivelato il tradimento del principe e infine soffre per la sua morte violenta e improvvisa. Una storia ricca di archetipi, piani sequenze, arresti e coup de théâtre che riesce a intercettare pubblici diversi, compreso quello a cui apparteneva mio padre, tra i più estranei e distratti ai racconti mediatici. 

Ma Diana riuscì ad imporsi anche negli immaginari avversi alle intrusioni. Non a caso venne definita la donna più famosa del mondo, «rosa d'Inghilterra» da Elton John nel riadattamento del 1997 di «Candle in the wind», e «principessa del popolo» da Tony Blair. Definizione, quest'ultima, che la royal family non amò mai molto, tutta impegnata nel mantenere il tradizionale «stiff upper lip», cioè il labbro superiore rigido, per non tradire le emozioni. Anche se alla fine, di fronte a tale sentimento popolare, la regina Elisabetta II, dopo la morte di Diana, dovette capitolare e parlare al suo popolo da «nonna». Lo fece soprattutto per tutelare i più traumatizzati dagli eventi, i principi Harry e William, né protagonisti né pubblico ma orfani, in questa storia di sovraesposizione mediatica al limite dell'irresponsabilità e della mancanza di etica, specchio di un cambiamento dei tempi. 

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Dopo 25 anni dalla sua tragica scomparsa, Diana continua ad interessare i media con la sua figura magnetica e il mistero della sua natura femminile. Rivelazioni e ricordi, fotogrammi di archivio, documenti non più segregati, ogni minima informazione si fa notizia per un pubblico che non smette di empatizzare con la storia tristemente felice e felicemente triste della principessa del Galles. Film, libri, documentari, articoli seguitano a essere scritti, parcellizzandone e vivisezionandone la breve vita. Tra gli ultimi: la docuserie in 4 episodi «Investigating Diana: Death in Paris», una coproduzione di Channel 4 e Discovery Plus, che indaga sull'incidente mortale (in onda ancora oggi e domani) e il documentario «The Princess» di Ed Perkins, realizzato con immagini e video d'archivio e prodotto dalla HBO che, dopo vari festival, arriva in Italia dal 31 agosto su Sky Documentaries e Now. Su Raiplay c'è «Inedita Lady D», raccolta di video delle Teche Rai girati in occasione dei viaggi di Diana in Italia, oltre a servizi ironici di Antonio Lubrano. Attesa è poi la quinta stagione della serie «The Crown», in arrivo su Netflix a novembre 2022, in cui proseguirà la storia di Diana apparsa nella stagione precedente. A interpretarla l'attrice Emma Corrin le cui immagini di set, insieme a quelle di tante altre colleghe che prima di lei l'hanno rappresentata nei film, si vanno a sommare su Google a quelle reali di Diana, accreditandola ufficialmente come mito moderno. Il web - che quando era in vita la principessa emetteva i primi vagiti- ne ricostruisce la memoria visiva originale e iconografica. 

In questo solco da leggenda, verrà inaugurata il 2 settembre a Las Vegas «Princess Diana: A tribute exhibition!», mostra in cui sono esposti 700 oggetti tra abiti e accessori, distribuiti in 12 stanze a tema dove sarà possibile sposarsi rivivendo il matrimonio fiabesco della principessa. In tutto questo circo mediatico, quello che non rimane è lo spazio per la solitudine di Diana che, come per tutte le donne fragili, non trova riparo nella società: «Penso che la più grande malattia del mondo sia quella che provano le persone che non si sentono amate». Parola ereditaria di principessa. 

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