Mario Talarico, il re degli ombrelli di Napoli: «Bacio ogni pezzo che faccio, sono tutti unici»

Mario Talarico, il re degli ombrelli di Napoli: «Bacio ogni pezzo che faccio, sono tutti unici»
di Francesca Saturnino
Lunedì 13 Settembre 2021, 12:00
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«Eduardo mi diceva sempre: Guagliò, stammi a sentire, la vita è un'affacciata di finestra». Mario Talarico, classe 1931, ha una cadenza napulegna doc. A 90 anni, ogni giorno scende al suo negozio a Toledo. I suoi ombrelli sono famosi in tutto il mondo, ha venduto a papi, re, capi di stato, artisti come di Lucio Dalla che si fece fare un ombrello da 20.000 euro con un bastone arabo del Settecento. 

La ditta Talarico nasce nel 1860, quando Giovanni Buongiovanni aprì una fabbrica di bastoni, ombrelli e ventagli in via Trinità degli Spagnoli.

Il negozio, che si trovava all'angolo con via Santa Brigida, serviva anche la casa reale. La figlia di Buongiovanni, Emilia, sposò il violinista Achille Talarico, figlio dell'omonimo pittore di corte, che proseguì l'attività ma dovette chiudere la fabbrica: gli operai si coricavano nei pezzi di tessuto.

Il figlio Giovanni riaprì a vico Due Porte a Toledo. «Non ho vergogna di dirlo: papà per banco usava le casse in cui si conservavano i maccheroni. In quella bottega sono nato io». Mostra il banco di legno, che ha circa due secoli, e con cui confessa di farsi delle gran chiacchierate: «Mia madre Concetta cuciva su questo banchetto. Eravamo sette figli. Ci partoriva in casa. In bottega ci metteva nei cassetti, i ritagli facevano da materasso. Il soffitto era tutto colorato: quando ho aperto gli occhi, ho visto solo ombrelli». 

Il padre l'ha messo «vicino al banchetto» all'età di 11 anni. «Al primo ombrello, mi regalò 5 lire d'argento e un bacio in fronte». Con la guerra tutto si fermò. Talarico ha preso parte alla Quattro Giornate. «Sono stato una testa calda, vivevo per strada: dovevo mangiare». Mostra le cicatrici che si porta addosso dall'età di 13 anni. «Abitavamo a via San Liborio. Mio cugino, poi Medaglia d'Oro, disse: Scendi! Tengo pure la pistola!. Una pistola arrugginita. Andammo a piazza Carità. I tedeschi sparavano con le mitragliatrici. Ne ammazzò sette, ma a San Liborio c'era la mensa delle Ss, ne uscì uno e gli fracassò il cranio in due parti, non se la cavò. Io fui ferito, mi misero su una barella e mi portarono ai Pellegrini».

E ancora, racconti dei saccheggi, dei ricoveri, di quando venne Hitler a Napoli e ricoprirono le strade di carri armati «fake» di cartone, dal centro storico alla ferrovia. Dopo la guerra, il boom degli anni Cinquanta: Mario Talarico, che lavorava anche 15 ore al giorno, costruì un impero fatto di fatica, sacrifici e tronchi di nocciuolo, ginestra del Vesuvio, castagno.

«Facciamo tutto a mano: dall'albero all'ombrello», reclama orgoglioso: «Ogni ombrello che faccio me lo bacio, poi non lo vedo più: è unico, non ne usciranno altri uguali. Quando ho iniziato, c'erano moltissimi ombrellai. Con l'avvento della Cina siamo rimasti in pochi. Ci siamo americanizzati: ora un ombrello lo compri, lo paghi poco perché è industriale, lo usi una volta e lo butti. Eppure, nel paese del sole, stiamo ancora in piedi. In seguito, ho iniziato a fare cose un po' più particolari. Da noi vengono soprattutto collezionisti». 

Gli ombrelli di Talarico hanno fatto storia: Totò li voleva col manico di bambù o Malacca; Peppino De Filippo, che stava al teatro Nuovo, vi si riforniva per i bastoni di scena. È di Talarico il famoso ombrello di Eduardo in «Natale in casa Cupiello», quello «in seta pura, che resiste con la pioggia e col sole»: «Il manico era una curvetta in corno con un pezzo di legno nero. Luca, poco prima di andarsene, venne da me per farselo fare. Voleva rimettere in scena la commedia ma non trovava più l'ombrello».

L'anziano artigiano, che ricorda quando ai Quartieri Spagnoli viveva il fiore della nobiltà di Napoli, ha trasmesso la sua arte al nipote Mario junior. «Gli dico sempre: devi essere umile. L'umiltà ti fa grande».

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