Orgoglio e… pregiudizi. Carla Barrucci: «Top model? No, grazie!»

Orgoglio e… pregiudizi. Carla Barrucci: «Top model? No, grazie!»
di Luca Marfé
Martedì 16 Ottobre 2018, 16:11 - Ultimo agg. 16:14
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NEW YORK - Carla cammina che sembra un alieno. Ha una grazia capace di spiegare, prima ancora che lo faccia lei, che essere una top model significa molto di più del semplice fatto di avere un bell’aspetto.

Ci vuole dedizione, impegno, classe, portamento e coraggio.
Il coraggio di non mollare al cospetto dei tanti “No”, il coraggio di formarsi senza improvvisare, il coraggio di credere nei propri sogni anche quando sembrano lontanissimi.

Carla ha tutto quanto.

Carla ce l’ha fatta, ma non ama parlarne in questi termini.

«Qui non si tratta di essere fighi né di essere arrivati chissà dove. Qui si tratta di lavorare, talvolta in condizioni folli, addirittura estreme. E di lavorare bene. Tutto qua, facile facile. Chi pensa che questo mestiere sia solo serate e luccichii non ci ha capito niente».



Carla Barrucci, nata a Latina e poi trasferita a Roma.

«Ho iniziato a fare la modella a 15 anni. Probabilmente ci nasci e non ci diventi perché, a differenza delle persone che lavorano in tv o al cinema, noi figuriamo molto meno. È più una sorta di istinto, di sesto senso. Ad ogni modo, oggi è diverso, tutto è improvvisamente accessibile».

I primi passi.

«Quando iniziai, nel 2000, non esistevano Facebook né Instagram. E noi eravamo davvero le ultimissime ruote del carro. In generale, da dietro le quinte, la modella è quella che ha meno voce in capitolo su molte cose».



Ma andiamo con ordine. Qual è il percorso che ti ha portato fino a New York?

«Prima Latina, poi Roma. Mi sono laureata in economia aziendale e management internazionale per poi iniziare con le passerelle di Fendi e Valentino.
Lo stesso Valentino, proprio nel 2000, mi chiese di fare la modella. Ero a Ponza con una mia amica e a ripensarci devo tantissimo all’intero team del Genio della moda. Mi hanno insegnato questo mestiere tra Palazzo Valentino e Piazza Mignanelli, mi hanno spiegato come funziona indirizzandomi presso un’agenzia molto seria. Da lì ho mosso i miei primi passi come donna di fitting, ovvero come “manichino” vivente per intere collezioni che nel frattempo venivano sagomate su di me, sul mio corpo. Stavamo 15 ore al giorno in piedi, soprattutto quando c’era Parigi in ballo. Non mangiavamo neanche, eravamo costantemente sotto pressione. Poi l’agenzia mi ha portato a Milano, dove Giorgio Barbieri faceva scouting. Giorgio che, da quel momento, ho sempre seguìto nella mia carriera».



Dalla fashion week di Milano Collezioni fino al cuore pulsante della Grande Mela.

«Sono stata notata da un'agenzia di New York che mi disse: “ti prendiamo in prova per 6 mesi”. Per me è sempre stato un sogno venire qui, tanto che provai già due volte, prima nel 2006, poi nel 2008. Evidentemente, però, non ero ancora pronta e nessuno mi si filò un granché. La determinazione, poi, mi ha fatto vincere. Quella paga sempre. Mancavano tre mesi alla mia laurea, volevo chiudere il cerchio. L’ho chiuso e due mesi dopo aver terminato gli studi ho detto ai miei, con aria quasi incredula: “vado in America”.
Chi avrebbe mai immaginato che dopo 10 anni sarei stata ancora qui?
Ebbene, eccomi. Fiera ed orgogliosa, nonostante la folla di pregiudizi che ruotano attorno a questo mondo».



Già, eccola mentre brilla come una stella.
Ma com’è stato il salto dall’altro lato dell’oceano? È cambiata la geografia e, pian piano, è cambiato anche il tempo.

«Avevo oramai già dieci anni di carriera alle spalle, ma la moda, sì, è cambiata molto negli anni. Oggi ci sono meno soldi ed è necessaria un’intelligenza diversa, più vasta. Tutte le donne che hanno avuto successo hanno saputo sfruttare il dono della bellezza stratosferica. L’America, però, pretende una donna che sia anche intelligente. Agli agenti devi poter semplificare il mestiere, non vogliono una showgirl, vogliono brillanti manager di se stesse, capaci di gestire lavoro e pubbliche relazioni. Qui nessuno ti regala niente, siamo tutte sostituibili nell’arco di un battito di ciglia».



Dall’esterno sembra un mestiere fatto di glitter e nulla più. Ma cosa c’è davvero dietro le quinte?

«Non c’è una giornata tipo. Ci sono giorni in cui sei sotto fashion week o bridal week (la settimana dedicata agli abiti delle spose, ndr), intere fasi in cui lavoriamo anche di notte, proviamo abiti, e facciamo casting. Poi, per carità, capitano anche momenti di mortorio totale. È un’altalena. Complicata e meravigliosa, meravigliosa ma complicata.
Tornando all’appeal da star: nasconde un mestiere in cui, ad esempio, devi stare in costume da bagno all’aperto con meno 10 gradi. Non scorderò mai un editoriale del marzo 2017 per il quale, a Chinatown vestita di niente, mi è toccato rappresentare una donna appena uscita da una discoteca. L’abbiamo realizzato di notte, c’erano meno 7 gradi e gli assistenti che, con delle coperte, ogni volta che il fotografo finiva di scattare, mi coprivano. Avevo 40 di febbre, una follia. Non è tutto oro quello che luccica.
La cosa più difficile, infine, è scindere la vita privata dal lavoro. Ho sempre avuto una passione estrema per ciò che faccio, è stato cibo e aria per me, ma i miei sentimenti ne hanno risentito molto».



Prima parlavi di pregiudizi.

«In Italia c’è ancora un pregiudizio colossale. Alle volte non per colpa degli italiani, ma più per demerito di una comunicazione sbagliata.
Negli Stati Uniti questo è un mestiere specifico, in Italia c’è troppa confusione attorno a chi ha generiche ambizioni televisive. Evidentemente lecite, per carità. Ma spesso vantate da chi della modella non ha assolutamente niente.
Noi siamo, o meglio dovremmo essere, dei fogli bianchi. Come il pongo, appunto, veniamo modellate dallo stilista. Il problema dalle nostre parti è che queste giovani donne sono le prime a raccontarsi come modelle con un’approssimazione preoccupante.
Noi non andiamo nei locali, non ci svegliamo tardi, facciamo un certo stile di vita perché altrimenti ti sostituiscono».



Cosa pensi da donna, ed in particolare da figura femminile così esposta, del movimento del #MeToo?

«Sono una donna conservatrice. E, molto francamente, del #MeToo spesso me ne sono vergognata. Ascoltare delle celebrity raccontare le loro storie trent’anni dopo, dall’alto della loro villa nella Beverly Hills di turno, acquistata magari anche grazie all’orco cattivo, be’, mi ha lasciato quanto meno perplessa. Troppo facile così. Inviti, avances e tu lì che accetti. Spesso nessuno che obbliga nessuno. C’è una grossa differenza con tutte quelle povere donne che magari, di rientro tardi dal lavoro, vengono stuprate in strada. Per me quella è violenza. Per me quelle persone meritano di essere ascoltate e rispettate per davvero».



Tornando a temi tra virgolette più leggeri: Miss Italia in particolare e più in generale i concorsi di bellezza. Un tuo giudizio, hanno ancora senso?

«Penso che l’unico concorso che ancora funzioni, sì, sia quello. Gli altri non servono a nulla. Miss Italia è incentrato anche sull’intelligenza della donna, su ciò che può essere in grado di fare dopo. Ne sono stata più volte parte nelle vesti di giurata e ne vado fiera.
Avere a che fare con la bellezza non è mai facile. Ciò che che conta è che sia sempre una bellezza elegante, piacevole e brillante. Una maniera per esaltarla, per ricordare che una donna va sempre venerata, come compagna, come madre, come lavoratrice».



Un consiglio alle ragazze che vogliono essere qualcosa in più, che vogliono intraprendere un percorso del genere e farlo in maniera sana e seria.

«Se è questo che vogliono fare e se hanno tutti i requisiti specifici necessari sulla carta, la prima cosa che mi viene da dire è mai fermarsi al primo ostacolo. Per il semplice fatto che ce ne saranno altri cento.
Se avranno successo è perché saranno state caparbie. Bisogna insistere sempre. Se non dovesse essere, non fa niente. Ma altrimenti, coltello metaforicamente tra i denti, meno soldi di quanti non ce ne fossero un tempo, ma non per questo meno passione.
In una battuta, siate estremamente intelligenti oltre che essere estremamente donne».

Sorride un po’ emozionata, il suo drink è rimasto lì, non lo ha toccato.
Mangia invece di gusto mentre sfoglia le sue copertine.
L’ultima, abbagliante, quella di Sports Illustrated.
Di tante immagini, sta già immaginando la prossima.


(Carla Barrucci per Sports Illustrated assieme a Deborah Mace)
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