Robin Williams, le rivelazioni segrete sugli ultimi giorni di vita: «Quella diagnosi sbagliata»

Robin Williams, dalla malattia alla depressione: tutti i segreti degli ultimi giorni di vita
Robin Williams, dalla malattia alla depressione: tutti i segreti degli ultimi giorni di vita
di Enrico Chillè
Mercoledì 9 Maggio 2018, 14:48 - Ultimo agg. 10 Maggio, 14:26
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«Sapeva di non essere più lui, soffriva perché non riusciva più a farsi apprezzare dal pubblico». È questa una delle rivelazioni sugli ultimi mesi e giorni di vita di Robin Williams, l'indimenticato attore morto suicida l'11 agosto 2014 all'età di 63 anni. A raccoglierle, in un libro dal titolo Robin, è stato Dave Itzkoff, giornalista del New York Times e scrittore.




La rivelazione più importante, raccolta grazie alla testimonianza di Susan Schneider, terza e ultima moglie di Robin Williams, riguarda la malattia che aveva colpito l'attore. Tutti i medici che lo avevano visitato, infatti, gli avevano diagnosticato il morbo di Parkinson, ma solo pochi mesi prima della morte un esperto di neuropatologie era riuscito a individuare la vera natura del male: si trattava della demenza a corpi di Levy, simile all'Alzheimer, con cui l'attore ha dovuto convivere per lungo tempo.

Cheri Minns, truccatrice del cast del film Una notte al museo, è una delle persone intervistate da Itzkoff. La sua testimonianza è una delle più importanti: «Faceva fatica a camminare, ma le condizioni peggiori riguardavano il suo stato mentale. Non riusciva a ricordare le battute ed era demoralizzato, piangeva spesso tra le mie braccia, era una situazione terribile. Io gli suggerii di tornare al cabaret, ma lui mi disse: "Non posso, non so più essere divertente". Piangeva ogni giorno, al termine delle riprese, io però ero solo una truccatrice, non una psicologa, e per questo consigliai al suo entourage di farlo seguire da uno specialista, ne aveva bisogno».

La malattia, di fatto, aveva cambiato Robin Williams fino a renderlo irriconoscibile a se stesso e alla sua famiglia. La moglie Susan ha dichiarato a Itzkoff: «Aveva un'andatura lenta e claudicante e a volte non riusciva a muoversi, ma la cosa peggiore era quando si bloccava perché parlando non riusciva a trovare le parole: si notava benissimo quanto fosse frustrante per lui. Aveva anche problemi di vista, non riusciva a valutare bene la distanza e la profondità. Era spesso confuso, prima che gli diagnosticassero la malattia pensavamo fosse ipocondriaco, ma non era così. Lui era perfettamente cosciente del male che lo aveva colpito, ma cercava sempre di controllarsi. Nell'ultimo mese non ce la faceva più, ed è così che si è arrivati alla caduta finale. La nostra famiglia ha sofferto tanto per la sua morte, ma l'ho perdonato, non posso rinfacciargli nulla. Lui è stato il miglior uomo che abbia conosciuto in tutta la mia vita».
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