Antonio, l'ottico jazz di Spaccanapoli: «Le mie pupille sono le tue»

Antonio, l'ottico jazz di Spaccanapoli: «Le mie pupille sono le tue»
di Maria Pirro
Lunedì 6 Luglio 2020, 08:30
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In via dei Tribunali, chi va con una lente da riparare può trovare un negozio tra le pizzerie e gli avventori, i tavolini, la pescheria, i souvenir, le chiese, i porticati, le sfogliatelle e i corni rossi, i caffè, i pastori fatti a mano, i monumenti, i chiostri, le mascherine anti coronavirus. Dentro, il titolare ascolta radio Capital, suona la chitarra e la tromba, quando può. Per questa sua passione è l'ottico jazz di Spaccanapoli: la musica fa da colonna sonora, sostiene l'impegno quotidiano preso da ragazzo. Per i compagni di vecchia data è semplicemente Leo, all'anagrafe Antonio Cassitto: 62enne, dai 12 apprendista fino a mettersi in proprio. Ma il suo negozio conserva vetrine molto vintage: mostra RayBan con i bordi dorati in metallo sottile («Americani originali, di qualità introvabile oggi») o plastica bianca per il sole eccessiva. Si vede l'immaginazione al potere non come slogan tra i modelli che risalgono agli anni Sessanta e Settanta. E anche lo stile nelle vendite-non vendite resta d'altri tempi. Un anziano assieme al figlio sceglie una montatura. «Quanto vi dobbiamo?», chiede il ragazzo. «Ci siamo sopportati per una vita intera», risponde direttamente al padre e alza le spalle. E la sua vita si intreccia con il lavoro e, in qualche modo, con la passione per i suoni e i rumori: «La mia famiglia aveva una libreria di antiquariato a Port'Alba, di fronte c'era il laboratorio di Aldo Mancuso, un maestro vero. Ero incuriosito dal fracasso dei vetri, allora tutto si realizzava a mano». Anche le protesi. Così le sole vere pupille, mai offuscate, erano le sue. «Si iniziava ricercando il colore dell'iride, dipingendo il cristallino come un quadro in miniatura».

Nei cassetti di mobili in legno scuro, altri laccati, altri rimediati chissà dove, non ci sono altri arnesi del mestiere ma riviste e libri. Uno su Totò, e una serie di foto, altra passione che accompagna quest'uomo. Sulle pareti ci sono Mina con Lucio Battisti, basta guardare in alto per incrociare Pino Daniele e, dietro gli occhiali esposti, le copertine di dischi che hanno fatto storia o almeno la sua. Nicola Di Bari, il cuore è uno zingaro, Village people, Peppino di Capri o una donna per amico. «Non mi sono sposato, non ho avuto il tempo», dice Cassitto con una certa amarezza o forse nostalgia, continuando a raccontare la sua avventura professionale, di tre amici al bar. Soci a Palazzo Venezia, «dove è stata portata e utilizzata da noi la prima macchina al Sud per l'antiriflesso», ricorda con entusiasmo mai pago. Lavoratore pulcino, uno degli ultimi in grado di sgrassare e lucidare la resina, restituire uno sguardo più lungo. Lo chiamano Leo perché capellone in gioventù: come il potere contestato e ricercato che, ieri come adesso, si può solo immaginare. Ma, da qui, tutto il resto si vede meglio: si può fissare un punto piccolo quanto un ago, e ingrandirlo in mezzo alla città. Quella di prima contiene Leo, mentre Antonio agguanta una vite e spinge verso fuori chi è entrato per riparare una lente. Senza chiedere compenso, rompe così il silenzio: «Ma no, è cosa di niente».

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