Chiara, la pasticciera di Chocolat: «La mia vita come un film»

Chiara, la pasticciera di Chocolat: «La mia vita come un film»
di Maria Pirro
Lunedì 4 Gennaio 2021, 08:00
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Con quella figura sottile, il viso nascosto dalla mascherina, lo sguardo impenetrabile, Chiara Cianciaruso, 45 anni, napoletana di Materdei, assomiglia a Juliette, protagonista di Chocolat. Ha lo stesso ciuffo nero, il capello corto, ed è una donna con l'accento francese che sceglie una sfida nuova. Come nel film, apre una pasticceria e inizia vendere il suo cioccolato che, qui, a due passi dal Duomo, ha anche la forma dell'ex voto.

L'insegna gialla è un inno alla dolcezza: «Mon sciu», da «sciu sciu» in napoletano, che rimanda alla pasta choux, stessa pronuncia, preparata secondo la tradizione ma arricchita di sapori scoperti all'estero, dove ha abitato per più della metà della sua vita.

«La mia avventura comincia a Roma: a sei esami dalla laurea in Psicologia, lascio la Sapienza perché mi rendo conto che desidero seguire la passione di ragazza», racconta. «Per quasi un anno, contatto tutti i giorni il titolare della Cioccolateria fino a quando accetta di farmi lavorare in prova.

Poi uno chef belga mi chiama per uno stage a Florenville». E lo stage diventa un contratto di lavoro, ma Chiara guarda oltre: fa esperienza con maestri cioccolatieri del calibro di Edouard Bechoux e Jean-Philippe Darcis. «Ma una realtà di tremila abitanti è troppo piccola, sogno di trasferirmi al mare». Si imbraca su un mega-yatch. «Il Christina, gioiello di Aristotele Onassis, quello con i rubinetti d'oro e maniglie d'avorio e a bordo ospiti come Maria Callas e Greta Garbo. Negli anni Duemila lo noleggiano i nababbi, d'estate è ormeggiato nei porti più caratteristici del Mediterraneo. «Dopo quest'esperienza, decido di trasferirmi a Parigi, che è da sempre un altro mio sogno, vado a lavorare al museo del cioccolato che ha anche uno spazio didattico». Così Chiara prosegue per la sua strada, che la spinge a imbarcarsi di nuovo, questa volta per cucinare alla dipendenze di un magnate cinese, nei Caraibi e nel golfo del Bengala e in tanti altri paradisi terrestri e marini. «La paga è alta, ma richiede un impegno quotidiano, giorno e notte, tutta la settimana: significa azzerare la vita privata, non vedere più nessuno, né parenti né amici. È come vivere in un lockdown in modo permanente», spiega.

La tappa successiva è in un grand hotel in Costa Azzurra, e si fa avanti il desiderio di mettersi in proprio. «Penso a un paesino francese», come nella trama di Chocolat. «Solo che all'estero continuo a sentirmi straniera, pur parlando perfettamente la lingua». Il viaggio è dunque destino, il ritorno la meta.

Nel 2018, la pastrychef globetrotter, come ama definirsi sui social, torna in città e cerca tutti gli ingredienti per la sua start-up: il locale in via Duomo, una collaboratrice per il laboratorio, la lista di fornitori raffinati. E le ricette assumono un gusto esotico. «La pasta choux con crema mousseline alla vaniglia e quella con albicocca del Vesuvio e timo sono tra i miei abbinamenti preferiti», sorride, indicando il bancone pieno di luce.

Cianciaruso ha aperto il 14 febbraio, ma ha chiuso l'8 marzo per l'emergenza Covid. «Il codice di iscrizione alla Camera di Commercio mi ha consentito di promuovere asporto e delivery, che ho organizzato da sola, facendomi conoscere attraverso i social, diventando simbolo di resilienza nella mia categoria». La pasticciera ancora provvede direttamente alle consegne con il Maggiolino blu, dopo le 18.30, alla fine della giornata cominciata alle 5 o alle 5,30. «Realizzo solo i dolci che mi piacciono: a volte il babà, mai la sfogliatella, sempre la pastiera». Gusti classici mischiati con mango, calamansi, bagnati con birra e tea chai, creme al limone e meringhe, bignè alle visciole, fiocchi di avena. E praline di nocciole, tartufini, marshmallow stretti nella calza della Befana. Chiara vola.

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