Sasa, il paziente più forte dei botti illegali: «Io, primo ad alzare il pollice hi-tech»

Sasa, il paziente più forte dei botti illegali: «Io, primo ad alzare il pollice hi-tech»
di Maria Pirro
Lunedì 2 Novembre 2020, 12:00
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Scrive il suo nome con le lacrime agli occhi. Ogni gesto è una conquista ottenuta superando il trauma da petardo che gli ha causato lo sfacelo di entrambe le mani, tre dita amputate, la sinistra rimasta senza pollice. Ed è una prova di resistenza anche imprimere le lettere sul foglio, dettata non solo dal desiderio più forte di riuscire, per primo, a poter raccontare di essere guarito: per quasi un anno, il paziente zero ha accettato di sottoporsi a undici interventi chirurgici, uno senza precedenti, visto che la protesi impiantata è unica in Europa. Difatti, l'ospedale è diventato la sua seconda casa. «Dal 31 dicembre mi è mancato solo di trasferire ai Pellegrini la residenza, e con i compagni di stanza ho stabilito un bel rapporto, di collaborazione, familiare». Tutti, come lui impossibilitati a usare una o le due mani, e in difficoltà maggiori quando hanno fermato i parenti all'ingresso per l'emergenza Covid: «Così uno si impegnava a tenere fermo il piatto, l'altro a tagliare la carne...».

Sasa Radosavljevic ha 49 anni, gli occhi del padre e oggi l'intelligenza di saper guardare lontano.

Oltre la disperazione. Per questo solleva il pollice: al primo incontro, avvenuto a giugno 2020, il suo dito è ancora grosso e fasciato, ma quest'uomo sa che la sua storia fa leva sull'arto perduto e ritrovato: con ostinazione, grazie alla protesi in 3D composta da alluminio vanadio e titanio, fissata con viti angolari e placchette, e progettata su misura (appena brevettata e già finita in una enciclopedia medica). Quindi Sasa assume una posizione un po' rigida, un po' da cantante rap, per mostrarla.

È ironico, una qualità che gli consente di affrontare tutto con una risposta pronta. Cambia immediatamente registro nella narrazione, se un venditore di calzini in piazza Dante gli chiede un'offerta («Ma lo vedi come sto combinato?») e si fa serio nel ringraziare i professionisti che l'hanno curato («Il dottore Leopoldo Caruso e l'intero reparto di Chirurgia della mano»). E scandisce con il giusto tono, senza indulgenza e nemmeno commiserazione: «Non ricordo nulla di quando ho esploso il botto durante i festeggiamenti nella notte di San Silvestro, a parte un rumore forte nelle orecchie». Uno dei tanti incidenti, il suo, ma probabilmente il più grave, che lo ha portato prima al pronto soccorso e poi all'andirivieni in sala operatoria. Per mesi. «Gli interventi sono avvenuti in ospedale, nonostante la pandemia. Nella protesi, progettata da me e dal biofisico Monica Ciminiello, sono stati modellati dei fori per reinserire i tendini lesi, iniettare i fattori di crescita che hanno favorito l'osteointegrazione e permettere il movimento del pollice. Poi, l'impianto è stato coperto con un lembo vascolarizzato prelevato dall'addome», chiarisce Caruso, spiegando che si è così restituita una certa funzionalità alla mano, tale da permettere di svolgere compiti quotidiani, come scrivere. Ma, anche prima del trauma da petardo, Radosavljevic, serbo di etnia rom, ha dovuto lottare duro, e questo lo ha aiutato a formare il carattere: da ragazzino, è emigrato in Germania e poi in Francia, in Svizzera («Di passaggio...») e in Italia. Ha sette figli distribuiti in più Paesi avuti da tre diverse relazioni, senza volere rinunciare, neppure oggi, a sentire che cos'è l'amore. Ha lavorato come falegname (e in quel periodo le dita non se l'è tagliate mai...). Ha fatto l'autista come il suo papà, ha raccolto oli esausti, ha attraversato i mercatini, da ambulante, e ha archiviato qualche problema con la legge. Adesso, quasi cinquantenne, è alla ricerca di una occupazione nuova, magari utilizzando le lingue, visto che ne parla con scioltezza quattro o cinque. «Non è facile, ci vuole tempo, e bisogna raccogliere le forze innanzitutto in se stessi», si sforza di usare parole più adatte, universali. Sulla sua t-shirt si legge boy ed è disegnata un'aquila.

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