Sergio, il broker del Made in Naples: «Da zero a 10 milioni, ce l'ho fatta senza rete»

Sergio, il broker del Made in Naples: «Da zero a 10 milioni, ce l'ho fatta senza rete»
di Maria Pirro
Lunedì 14 Dicembre 2020, 12:03
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Ha l'audacia degli esploratori delle grandi scoperte, come una nave va all'avventura verso il polo, ama le cose lontane. Il suo ufficio, ricavato nell'ex casa paterna al Rione Alto, è l'esatta riproduzione di un hotel a Dubai: all'ingresso c'è una piccola cascata, il marmo ricopre le pareti, e ogni stanza ha un colore diverso.La sua camera rossa è piena di oggetti che evocano luoghi esotici; sulla scrivania, un mappamondo è il senso di una vita. Quanta strada ha fatto Sergio Santopaolo, 54 anni, broker di professione, oggi è titolare di una società che fattura 10 milioni all'anno. Messa su da zero, tentando l'impossibile. La sua impresa inizia a 16 anni, quando l'allora studente di ragioneria assieme ai compagni di classe si organizza perché la paghetta del papà già non gli basta. Il genitore è un dipendente dell'Enel, la mamma casalinga e il figlio non chiede. «Vado alla stazione centrale, ai turisti propongo tour anche in cambio di un panino. Li accompagno a Capri, a Pompei», racconta con la luce negli occhi del ragazzo mai lasciato indietro. E, nelle gite fuori porta, lo pseudo Cicerone impara l'inglese. «La conoscenza della lingua straniera, perfezionata durante il servizio militare nella base di Sigonella, mi torna utile per cercare un lavoro vero, rispondendo a un bando di Alitalia». Il phisique du role fa il resto. «Mi assumono come assistente di volo sulle tratte internazionali, così inizio a viaggiare davvero. Nei giorni di riposo, vado in giro». E, passeggiando a New York, Sergio conosce una ragazza: svizzera di Friburgo. La sua nuova destinazione. «Mi dimetto e mi trasferisco nel cantone francese. E, per ottenere il permesso di soggiorno e restare, faccio tre promesse di matrimonio. Una ogni sei mesi». Nessuna alla scadenza porta alle nozze, ma gli danno il tempo di apprendere un altro mestiere. «Compro scarpe a mille lire a Napoli, le rivendo in conto vendita nei negozi, dividendo l'incasso con il titolare che mi cede vetrine e scaffali, e l'attività funziona. Fino a quando non vengo espulso: le autorità elvetiche si rendono conto che non ho intenzione di sposarmi». Rientrato in città, il giovane trova lavoro in una ditta che vende vaschette di alluminio ed è alla ricerca di un rappresentante sul mercato estero. «Mi impegno per un anno, e mi rendo conto che quello che faccio per una società di Marcianise è ripetibile anche da solo». Quindi, Santopaolo rinuncia per la seconda volta al posto fisso. «Mi iscrivo con la partita Iva alla Camera di Commercio. Ho una agenda di contatti, la utilizzo per programmare le trasferte. Con spese tutte a carico mio, perché la mia sfida è piazzare i prodotti per la casa made in Naples (e non solo) fuori dai confini nazionali e avere una percentuale. Chiedo solo una provvigione, niente rimborsi o». Come dimenticare il primo improbabile spostamento: 36 ore per raggiungere Parigi. A bordo di un treno regionale. Ovviamente, per risparmiare sui costi. «Senza brochure o biglietto di visita. Solo con una valigia: dentro, tre rotoli di carta igienica». Gli va bene, anche questa volta.

Probabilmente per quel carattere gioviale che traspare dalla gestualità e dal sorriso e lo rende pronto a tuffarsi con l'entusiasmo della giovinezza (ma il ciuffo sale e pepe ancora oggi è gelatinato, e al collo ha una lunga catena d'argento, indossa un cappuccio Armani e il jeans).

Spregiudicato e guascone, napoletano tipico e atipico. Padrone dell'arte di arrangiarsi, ma senza l'attitudine al lamento. «Trovo altri clienti sfogliando le pagine gialle, copiando i numeri dai dispenser nei bagni di alberghi e ristoranti stranieri». Santopaolo oggi fa da intermediario tra imprese europee, africane e asiatiche. Singapore. Emirati Arabi, Bruxelles tra le mete abituali. «Ho girato tre volte il mondo negli ultimi quindici anni. E continuo a farlo», dice soddisfatto, ma non è uomo da vantarsi. È più concreto. L'ufficio è subaffittato. la sua ditta resta individuale: «Non ho dipendenti ma collaboratori a cui applico le stesse condizioni che ho previsto per me. Più commesse prendono, più guadagnano». E, a sorpresa, n on ce n'è uno che pronto a fargli concorrenza, Santopaolo ammette che lo avrebbe fatto. Perché riuscire ad arrivare ai suoi livelli significa innanzitutto voler osare. «Ai ragazzi suggerisco di rischiare, dimenticando le certezze dello stipendio. Ma, per fare soldi, devono investire sulla propria formazione: parlare l'inglese e avere competenze informatiche». Una marcia in più per andare oltre, senza rete e senza naufragare. E, all'orizzonte, avverte Sergio con spirito imprenditoriale, già intravede, che anche nell'import-export, il futuro è green. 

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