PierMacchié e l'arte di fermare il tempo: «Che gioia lavorare solo tre ore al giorno»

PierMacchié e l'arte di fermare il tempo: «Che gioia lavorare solo tre ore al giorno»
di Maria Pirro
Lunedì 15 Luglio 2019, 07:00 - Ultimo agg. 12:38
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«Prenditi tempo per pensare, perché questa è la vera forza dell'uomo». Canta così, a bocca chiusa, senza pronunciare parola, Pierangelo Fevola, 40 anni, codino e occhiali eccentrici. Sembra proprio aver fatto suo l'imperativo di Pablo Neruda, Pierangelo. Lui è un artista di strada, ma la musica che esegue ha preso forma a scuola.
 
«Sono diplomato al Conservatorio San Pietro a Majella e all'Accademia delle belle arti», dice con legittimo orgoglio dall'alto dei suoi due metri. «Ma lavoro non più di 3, massimo 4 ore al giorno: quanto basta a guadagnare tra i 30 e i 50 euro, di più non mi occorre». E apre il pugno vuoto, come un fiore che sboccia nel deserto. È fortunato, aggiunge il mandolinista che quasi tutte le sere si esibisce con il Castel dell'Ovo sullo sfondo, ed è conosciuto da tutti come Piermacchié. «Ho una casa di proprietà in vico Nocelle», spiega, «per questo posso permettermelo». Ma, per altri, la scelta non è né semplice né scontata. E, lavorando meno, il 40enne ha tempo per pensare, per vedere film di Totò, per costruire strumenti (il suo è un manviolino, unico esemplare esistente) e per continuare studiare: «Ogni martedì viene da me Keith Goodman, maestro di composizione che pago in cucina, nel senso che gli preparo il pranzo in cambio della lezione». Ha tempo per ridere, come invoca Neruda: «Perché il riso è la musica dell'anima...» E, nella poesia, avvisa: «Prenditi tempo per amare ed essere amato, è il privilegio dato da Dio. Prenditi tempo per essere amabile, questo è il cammino della felicità...». Fevola ha una compagna, Emy, che lo descrive così: «È tenero e sognatore, tutto il contrario di me che devo stare dietro a mille incombenze quotidiane. Mi ha conquistato così». Con quel «prenditi tempo per vivere», l'ultimo verso della lirica e il primo nella scala originale del musicista che ha girato mezzo mondo alla ricerca della sua dimensione. «Sono stato in Australia, in Svizzera, in Corsica, eseguendo la posteggia napoletana. Rientrato, sei anni fa ho iniziato a suonare per strada e mi sono inventato questo personaggio, quando ho capito che la mia faccia mette allegria». Un po' Pulcinella, maschera che con Totò considera una fonte di ispirazione, un po' Raffaele Calace, il suo modello per eccellenza come liutaio e autore. «Mi adorano i turisti», aggiunge Pierangelo. Merito del cappello blu a cilindro, merito di un pupazzo che chiama figlio e gli somiglia davvero, merito delle note che toccano l'anima e uniscono identità e macchietta, leggerezza ed estro. «Scrivo anche un diario, che ogni anno pubblico il resoconto su Amazon». Il numero 7 è vendita a un prezzo simbolico di 99 centesimi e ha un titolo eccessivo come tutto il resto, «Dal Vangelo secondo Piermacchié». Centoduepagine accompagnate dalla seguente sinossi, scritta ovviamente in prima persona: «Ogni volta che indosso i miei panni accade una storia. Passo per le strade di Napoli sopra una ruota, suono la mia musica sopra il basalto dei secoli. Sognai di riportare le arti del passato al mio tempo, per abbellire il mondo». No, Fevola non fa l'artista di strada perché disoccupato. «Solo perché mi piace», ripete ai ragazzi in motorino che glielo domandano incuriositi. «Rifiuterei ogni altro mestiere e, senza passione, nun ascess accussì», non uscirei così, sintetizza in dialetto. Può sembrare un circense ed è un po' pagliaccio, e quindi non per forza buono. «Giro con una frusta avuta in regalo dai bimbi che abitano vicino a casa mia: mi hanno detto di usarla con i bambini cattivi e, alla fine, loro l'hanno saggiata», e lo sguardo si perde all'improvviso. «Mi hanno distrutto più volte l'attrezzatura», racconta, spiegando che le aggressioni sono frequenti. Compiute da baby-gang, ma anche da coetanei in gruppo, come è avvenuto l'altra sera non lontano dal teatro San Carlo. «In precedenza mi hanno lanciato le arance, curiosa coincidenza, dopo gli applausi ricevuti per uno spettacolo al Piccolo Bellini. E mi hanno fatto pipì nel cappello e hanno tentato di ferirmi con una bottiglia...» La cronaca delle disavventure è tutta scritta (e scaricabile on line). «Dopo la violenza dell'altra settimana, ho installato una mini-telecamera per riprendere quel che mi accade». Essere diversi è anche faticoso e, a volte, triste: può voler dire finire nel mirino e ritrovarsi ai margini. Una decisione fuori dagli schemi è anche quella di non richiedere il reddito di cittadinanza. «Avrei rischiato una multa, voglio continuare a fare l'artista di strada», dichiara d'un fiato. «Se ti avessero chiamato per qualsiasi impiego, sarebbe stata una tragedia», sussurra e lo guarda con occhi pieni d'affetto Emy; mentre Piermacchié cerca sullo smartphone un suo pezzo eseguito a New York da un altro mandolinista. E, dopo Neruda, sembra di sentire Tucidide, lo storico ateniese, con altre indicazioni senza tempo: «Il segreto della felicità è la libertà, e il segreto della libertà è il coraggio». La musica non cambia.
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