Stefania la rossa: «Dall'aborto alla lotta contro la prostituzione»

Stefania la rossa: «Dall'aborto alla lotta contro la prostituzione»
di Maria Pirro
Lunedì 4 Novembre 2019, 18:00 - Ultimo agg. 11 Novembre, 20:46
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Voleva lavorare, non essere «solo» moglie e madre. Per sfuggire a un destino già scritto, in famiglia e in società, a 20 anni è diventata femminista. A 60 s'è trasferita a Sant'Agata dei Goti, alle falde del Taburno: si è sistemata, assieme al marito, rappresentante in pensione, nella casa delle vacanze per lasciare il suo appartamento al figlio, in occasione del matrimonio. Ma Stefania Cantatore, napoletana del Vomero, non rinuncia a tornare in città ogni giovedì per partecipare alle riunioni dei comitati viola (e non rosa), il nuovo colore del movimento. Per quelle che vengono dai cortei per l'aborto, sono contrarie a riaprire le case chiuse con la legge Merlin, e senza incertezze continuano le marce anti-violenza e per i diritti, la tinta resta, però, il rosso. E Stefania mostra questo tono anche nei capelli, abbinato a uno sguardo acuto e disincantato sulla soglia dei 70 anni. La sua voce è raschiata dal fumo, carica di storie del secolo scorso.
 
Sul lavoro, innanzitutto: «Suddiviso, nella cultura di allora, in femminile e maschile. Non so quante donne abbiano avvertito il mio stesso senso di soffocamento di fronte alla previsione di maternità: fare la casalinga, come prospettiva data quasi per scontata, se non proprio obbligatoria, anche da mia mamma». Cantatore ha avuto due figli ma, in mezzo, ha incrociato il femminismo: «È stato per me e per tante altre il modo di fuggire a quel destino, come portatrici di conflitto, a volte aspro. Ma le esperienze che ho, che abbiamo vissuto non sono ripetibili anche grazie alle trasformazioni indotte dalle pressioni esercitate attraverso le grandi manifestazioni». Questa consapevolezza è diventata ragione di autostima: «Significa dire che si può, bisogna osare: ed è forse la vera eredità di cui possono dotarsi le generazioni successive alla mia». La differenza tra il dire e il «suo» fare è segnata da un impegno non solo individuale ma collettivo, e dalle lancette dell'orologio. Con la sveglia, ad esempio, anticipata all'alba, quando si decide di verificare la tenuta della legge 194, del 1978. Applicata ancora in parte, considerato il numero record di medici obiettori di coscienza, le difficoltà nell'accoglienza, la carenza di personale nei consultori e negli ospedali, dagli psicologi agli assistenti sociali (che è poi stato il mestiere di Stefania). Per non parlare dei mediatori culturali. «A distanza di 31 anni, tanto resta da fare», scandisce numeri e programmi Cantatore, in prima linea anche nelle iniziative messe in campo per l'introduzione della pillola Ru486, l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica. «Allora era assessore regionale Angelo Montemarano», ricorda. E le questioni locali si intrecciano con le vicende internazionali. Un successo glocal è la cittadinanza onoraria fatta avere, per primi, a Safiya Husseini Tungar Tudu, condannata alla lapidazione.

Un riferimento resta la convenzione di Istanbul, del Consiglio d'Europa, che punta tutto sulla prevenzione e la lotta contro la violenza di genere e domestica. Nel suo pc, la «rossa» archivia le denunce e i casi apparsi giornali. «Quando la parola femminicidio sembrava uno schiaffo dato anche alle donne, l'abbiamo usata e fissata nella memoria collettiva», dice con orgoglio. Cantatore è portavoce dell'Unione donne in Italia: «Ma il femminismo nuovo non è il mio, perché credo che al movimento non servano aggettivi :anzi, mi sembra siano in sé una forma di negazione. Spero di sbagliarmi, ma la discussione sulla prostituzione svilisce: l'esperienza mi ha insegnato che non è necessario essere vittime di tratta per sentirsi schiave. Un'altra condizione è la libertà che va curata e preservata». Eccola, la strada. «Quelle della mia generazione sono obbligate a guardare avanti», riparte spedita. Confida: «Accontentarsi negli anni Sessanta e Settanta sarebbe stato più difficile che non andare in direzione ostinata e contraria, perché sapevamo cosa avevamo lasciato alle spalle».
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