Vittorio Feltri: «Mia moglie morta di parto, avevo vent'anni: restai solo con due gemelline»

Vittorio Feltri choc: «Mia moglie morta di parto, avevo vent'anni: restai solo con due gemelline»
Vittorio Feltri choc: «Mia moglie morta di parto, avevo vent'anni: restai solo con due gemelline»
Sabato 22 Ottobre 2022, 22:21 - Ultimo agg. 24 Ottobre, 09:27
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Vittorio Feltri si racconta, dall'infanzia a oggi. In un'intervista al Corriere della Sera, il giornalista, fondatore e direttore editoriale di Libero, ricorda tutta la storia della propria vita. Segnata da tragedie nell'infanzia e nella giovinezza, ma intensissima, fino ad oggi.

Vittorio Feltri si racconta

«Il mio primo ricordo è la morte di mio padre Angelo, quando avevo sei anni. Lui ne aveva 43 e fu ucciso dal morbo di Addison, da cui oggi si guarisce con due iniezioni di cortisone. Due ore prima di andarsene volle vedere me, mio fratello Ariel e mia sorella Marianna, come una sorta di benedizione. Non so se mi riconobbe. Mia madre vendeva la pasta Combattenti, la sera attendevo alla finestra il suo ritorno. E quando la vedevo arrivare, correvo per le scale per abbracciarla stretta» - racconta Vittorio Feltri - «Ricordo con piacere il mio maestro, Angelo Dolci, di nome e di fatto. Mi veniva a prendere a casa e mi portava a scuola in sidecar, con gli occhialoni da pilota della Wehrmacht. Ma a 14 anni sono andato a lavorare come fattorino, poi come vetrinista, e la domenica sera arrotondavo al piano bar Don Rodrigo di Lecco. Non ero granché, ma usavo gli spartiti della fisarmonica, che sono più semplici. Suonavo le canzoni di Gaber, poi diventammo amici. Era un ragioniere, come Montale: intelligentissimo. 'Destra-sinistra' me la fece sentire mentre la stava scrivendo, la frase "il cesso è sempre in fondo a destra" è mia».

Gli studi

Vittorio Feltri racconta poi quando riprese gli studi: «Fu grazie a un prete, si chiamava Angelo come mio papà ed era direttore della biblioteca di Bergamo alta. Mi passava i libri giusti, parlavamo solo bergamasco e latino. Ancora oggi, prima di scrivere un articolo, penso in latino. Poi, il giorno prima della maturità, don Angelo mi diede da tradurre una versione di Tito Livio, che uscì all'esame. Non ho mai capito se avesse avuto una premonizione o una soffiata. Poi vinsi un concorso alla Provincia, ma bestemmiai atrocemente: ero dispiaciuto perché volevo fare il giornalista».

La carriera da giornalista

Sempre grazie a don Angelo, Vittorio Feltri riuscì a realizzare il suo sogno. «Mi raccomandò all'Eco di Bergamo e il mio primo articolo fu un'intervista a un giovane regista, Ermanno Olmi.

Poi Nino Nutrizio, esule istriano scampato alle foibe, mi chiamò a La Notte. Mi dava del voi e mi disse: "Collaborato all'Eco da quattro anni e non vi hanno ancora assunto, questo mi fa pensare che siate un cretino. Ma vi darò una possibilità"» - spiega il giornalista. Che poi si commuove ricordando un fatto particolare: «Facevamo molta cronaca nera. Una volta una prostituta di Bergamo fu uccisa a coltellate, entrai in casa e vidi la figlia, di quattro anni, con una fetta di panettone in mano, seduta nella pozza di sangue della madre. Scrissi il pezzo, poi il giorno dopo comprai La Notte e andai a vedere la pagina della cronaca di Bergamo. Non c'era nulla. In realtà, il mio articolo era in prima pagina, a nove colonne».

Gli amori

«Da ragazzo vinsi un premio per il miglior tema, mi mandarono a leggerlo in una classe femminile. Applaudirono tutte, tranne una: la guardai di brutto, incrociai due occhi stupendi. Era Maria Luisa Trussardi. Ci scambiammo qualche bacino, sul muretto, ma poi mi innamorai di un'altra Maria Luisa. Lei rimase subito incinta, matrimonio riparatore e in ospedale mi trovai due bambine. Quando mi dissero che erano due gemelline, quasi svenni. Mi fecero un'iniezione, passai dalla disperazione all'euforia. Le chiamai Laura e Saba, come il mio poeta preferito. Ma la disperazione tornò subito: mia moglie morì di parto, aveva 20 anni» - racconta ancora Vittorio Feltri - «Non sapevo cosa fare con due neonate, le portai al brefotrofio. Mi guardai attorno, c'erano tante impiegate e scelsi quella con le gambe più belle. La corteggiai e la sposai: Enoe ha fatto da madre alle bambine e le sarò per sempre grato. Insieme abbiamo avuto Fiorenza e Mattia, ma considero mio figlio anche Paolo, il figlio della sorella di mia moglie. Ho sempre amato Mattia, gli davo come compito scrivere i pensierini sulla sintesi delle partite alla Domenica Sportiva. Lo amo ancora, vorrei solo che mi chiamasse di più».

Istituzione del giornalismo

«Arrivato al Corriere d'Informazione, il direttore Gino Palumbo trattò per me lo stipendio. Quasi feci un incidente quando aprii il contratto in macchina: guadagnavo più del doppio che a La Notte. Al Corriere il direttore era Piero Ottone. Lesse un mio pezzo e mi disse: "Va bene, peccato per quel congiuntivo". Mi sentii morire, cercai cento volte l'errore e neanche i colleghi trovarono il congiuntivo sbagliato. Anni dopo, intervistai Ottone e glelo chiesi. Lui sorrise: "Non c'era nessun errore, era un trucco per intimidire i novizi"» - il ricordo di Vittorio Feltri - «Non sono mai stato di destra, sono un borghese antifascista e socialista. Mi inventai il soprannome Cinghialone per Craxi: funzionava ma un po' me ne sono pentito. Craxi non era un ladro, lo capii quando andai a trovarlo al Raphael: mi aspettavo una suite imperiale, era la tana di un animale ferito e facemmo pace. E mi telefonava ogni sera da Hammamet».

Vittorio Feltri e Tangentopoli

«La mia fonte, ai tempi di Tangentopoli, era Antonio Di Pietro. Era pm a Bergamo e scoprì il mostro di Leffe. Lo prendevano in giro per i modi rozzi, ma era un investigatore formidaile: ruvido, cattivo, scaltro. Nel 1983 un uomo uccisa la suocera, sotterrandola in montagna, poi la moglie e le figlie, murando i corpi in casa. Poi fuggì in Germania, spedendo cartoline firmate pure dalle vittime per sviare le indagini. Ma Di Pietro, un vero geniaccio, intuì tutto e trovò i cadaveri. Passò la notizia soltanto a me» - spiega Vittorio Feltri - «La rottura arrivò quando andai a dirigere Il Giornale. Mi offrirono di farlo con Montanelli, ma rifiutai. Mi proposero la direzione, ma l'offerta non era abbastanza dal punto di vista economico. Poi Fedele Confalonieri e Paolo Berlusconi aumentarono l'offerta, Silvio mi offrì il 7% del patrimonio, compreso il palazzo di via Negri. Quando me ne andai, vendetti tutto. Berlusconi mi ha reso ricco, per questo non posso parlarne male. Ha fatto bene in politica, ma ha avuto comportamenti troppo disinvolti e in politica queste cose ti segnano».

Vittorio Feltri e Montanelli

«Con Indro Montanelli non abbiamo mai rotto, di me diceva che era come avere un figlio drogato. Ma andavo spesso a cena a casa sua, in viale Piave, anche se presi il suo posto dopo che lo mandarono via. Lo riconquistai recuperando un film girato da lui, I sogni muoiono all'alba, ambientato nella Budapest invasa dai carri armati sovietici. Non si trovava più, ma mia moglie lo recuperò nell'archivio di Rete 4» - spiega Feltri - «D'altronde il fondatore di Rete 4 sono io: nacque a Bergamo e si chiamava Video Delta, andava  malissimo e pensavo di risollevarla con i film di don Camillo e Peppone. Angelo Rizzoli me li vendette per due lire: mi disse "L'Italia va a sinistra, Guareschi non lo vuole più nessuno". Invece fu un trionfo e la nostra tv finì prima alla Mondadori e poi a Berlusconi. Anche mia moglie lavorava per Berlusconi, a Rete 4, anche se tutti la conoscevano con il suo cognome da nubile».

Vittorio Feltri a ruota libera

«Enzo Biagi era un po' carogna, ma in tv era il numero uno: sembrava un parroco, efficacissimo. L'imitazione di Crozza? Sono io che imito lui, in quello non mi riconosco. Io non ho nulla contro le donne, le considero migliori degli uomini e ho sempre avuto medici donne. Una donna mi ha salvato la vita operandomi per il tumore. Non ho nulla contro i gay né contro i neri. Le donne nere poi mi piacciono molto, il mio più grande rammarico è non averne mai sedotta una» - le confessioni di Vittorio Feltri - «Non sono duro, sono incapace di mentire. Amo i cavalli: parlo, e loro capiscono. Se appena nati gli soffi nelle narici, saranno tuoi per tutta la vita. Non ho rotto con Salvini, è lui che ha rotto con me e me lo ha scritto per sms. Lo considero abile, ha portato la Lega dal 4 al 34% ma poi ha perso lucidità. Giorgia Meloni è una grandissima leader, come capo di governo deve ancora dimostrare tutto. L'importante è approcciarsi con garbo all'Europa, che è come un grande condominio e noi siamo l'inquilino moroso. Cioè l'ultimo che può dire "Da domani faccio il c***o che mi pare". Lorenzo Fontana non mi piace, Ignazio La Russa si atteggia a mussoliniano ma in realtà è liberale. Renzi è bravo e abolire il Senato era giusto, ma i governi perdono sempre i referendum. Milano è il cervello dell'Italia, ma non sa imporsi: è sottorappresentata nella politica e nella cultura. A Milano sono un po' fighetti e votano Sala, gli altri lombardi sono più ruspanti. Mi piacerebbe candidarmi alle prossime regionali, fare qualcosa per la mia Lombardia. Dopo la morte c'è solo il cimitero, l'uomo ha bisogno di immaginarsi immortale ma è un'illusione».

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