Edoardo e Matilde, una sfida
al mondo dal ventre di Napoli

Edoardo e Matilde, una sfida al mondo dal ventre di Napoli
di ​Donatella Trotta
Mercoledì 15 Marzo 2017, 08:41 - Ultimo agg. 19:58
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«Abbiamo nel cuore un tesoro di fede e di speranza: ci sentiamo forti e combattiamo: la nostra arma è l'ingegno, l'amore dell'arte è la nostra forza, il nostro motto Excelsior». A voler condensare in poche battute lo spirito battagliero, la consapevole ambizione e il coraggio delle sfide incarnati dai fondatori del «Mattino» nella Napoli chiaroscurale della «Belle Époque» non ci sono parole più eloquenti (e presaghe) di queste: scritte dal 18enne Edoardo Scarfoglio nel suo primo articolo, pubblicato il 9 giugno 1878 sulla rivista sarda di Antonio Scano «Vita di pensiero».

Voci oltre il Volturno. Quattordici anni e un bel po' di esperienze dopo, l'irrequieto e ribelle letterato e giornalista abruzzese, «invincibile penna» di polemista, seguace in poesia di Carducci, colonialista, germanofilo e ostile al socialismo in politica, firmerà l'editoriale sul primo numero del suo quotidiano «Il Mattino» (16/17 marzo 1892). Spiegando, con il titolo «Com'è nato Il Mattino», la linea liberal-moderata del giornale, la sua identità orgogliosamente meridionalista ma anche con un'abile captatio benevolentiae la consapevolezza dei rischi di caducità di un'avventura editoriale che, per essere davvero libera e autonoma, fondi le sue basi su un saldo legame con i lettori. Unici veri artefici di una duratura fortuna dell'impresa: «L'esperienza sottolineava Scarfoglio con considerazioni tuttora attuali - mi ha ormai ammaestrato che i giornali eretti su fondamenta milionarie sono edifizi di sabbia: un capriccio li eleva, un capriccio li sfalda, un capriccio li abbatte. L'unico milionario cui un giornalista debba chiedere appoggio, è il pubblico. Esso solo può dargli insieme il danaro e l'indipendenza, una grande libertà di movimenti e una guida sicura per il successo».

Donna Matilde. Ma l'intraprendente Scarfoglio, allora 32enne, non è solo. Al suo fianco a condividere l'investimento delle 86mila lire del banchiere Mattero Schilizzi in liquidazione del «Corriere di Napoli» (1887-1891), avventura gestita dalla coppia dopo il «Corriere di Roma» (1885-1887) - ha l'operosa moglie 36enne, Matilde Serao. Partenopea di origini greche, autrice fra il resto del libro-inchiesta Il ventre di Napoli. Indomita, e già affermata, figura di scrittrice, giornalista, poligrafa ed epistolografa, imprenditrice culturale d'antan. Madre dei suoi 4 figli maschi, sposata a Roma 7 anni prima. La quale, in quella storica prima pagina del «Mattino» di 125 anni fa firma di piede, con lo pseudonuimo di «Gibus» (il cappello maschile francese a cilindro, con molle che consentono di appiattirlo per portarlo sotto il braccio, proprio come un giornale), la sua rubrica non soltanto mondana e di costume «Api, Mosconi e Vespe» - destinata a grandi fortune e contrasti anche giudiziari, fino a denominarsi solo «Mosconi» - con il consueto tono affabile, dialogico e affettivo da regina dell'oralità secondaria che tanto la faceva amare dai suoi lettori: napoletani, italiani e stranieri.

E Donna Matilde, nota in città come a Signora, è infatti molto più di una cofondatrice e condirettrice del giornale partenopeo che, diventando il più diffuso e autorevole quotidiano del Mezzogiorno d'Italia (dal boom di 13mila copie di tiratura a tre mesi dalla fondazione arriverà a 33mila in meno di 10 anni), cenacolo di talenti intellettuali e artistici, grande - e per l'epoca innovativo - organo di formazione e informazione dell'opinione pubblica, oltre che racconto (e specchio) di Napoli, è sopravvissuto sino ad oggi. Matilde ne fu, come per i precedenti giornali dei due coniugi, «ispiratrice, redattrice, amministratrice. Fu tutto, contro la sorte avversa», ricordava il collega e amico Luigi Lodi. E nella coppia che Antonio Gramsci definì di «giornalisti nati», «fu la più venturosa e audace dei due»: come ebbe a sottolineare, ripercorrendo quei momenti febbrili, il figlio Antonio, primogenito dei quattro fratelli Scarfoglietti. Tutti futuri giornalisti.

Perché Serao, in una accorta divisione di compiti con Scarfoglio, più proteso verso la politica, rappresenta l'impronta artistico-letteraria (e francofila) del giornale (che solo nel 1892 inizia a pubblicare ben sei romanzi a puntate, tra i quali Bel Ami di Maupassant, Il Parricidio di Dostoewskij e Terra Promessa di Bourget). Ne diventa l'anima sociale, tessitrice accorta di trame di relazioni, umane e culturali. E la sua instancabile promotrice organizzativa: almeno fino alla separazione da Scarfoglio, e dal giornale, tra il 1902 e il 1903, prima di fondare, nel 1904, il suo quotidiano «Il Giorno».

Le lettere. Lo dimostra una lettera del 4 febbraio 1892 a Ferdinando Martini, dove Donna Matilde chiede la sua collaborazione, annunciando a nome del marito l'imminente uscita - prevista per i primi di marzo - di quello che doveva chiamarsi, inizialmente, il «Corriere del Mattino»: «La nostra iniziativa, poggiata su solide basi amministrative, trova le generali simpatie: e credo che faremo un bel giornale, libero, vivace e non violento, sereno e non noioso», sottolinea Serao all'illustre interlocutore, già direttore del «Fanfulla della Domenica» e allora ministro della Istruzione Pubblica; mentre, il 7 febbraio, rassicura così, con un'altra lettera, la cognata Teresa Scarfoglio in ansia: «Se sapessi che attestati di entusiasmo, di simpatia, di affetto abbiamo avuto da tutte le parti d'Italia! Quindi ti prego di rassicurarti la crisi è passata, la tappa è finita, c'incamminiamo allegramente per un nuovo viaggio. Non vi scoraggiate e non ci scoraggiate. Siamo gente d'ingegno e di cuore, il pubblico lo sa, basta che ve lo ricordiate anche voi, per aver fede che riusciremo!».

Il successo. I fatti sembrano darle ragione: con una corsa contro il tempo, ritardi tipografici e neanche un mese di preparazione, «Il Mattino» vede la luce nel cuore di Napoli, tra miserie e nobiltà di una città ex capitale regnicola che conta 500mila abitanti (dei quali solo 120mila alfabetizzati) e centinaia di giornali: tra periodici e ben 10 quotidiani con una tiratura complessiva di circa 72mila copie. Ed è festa grande nella sede della redazione, al primo piano di quel Vico Rotto San Carlo, noto come Angiporto Galleria (oggi piazzetta Matilde Serao) dove la sala macchine della nascente tipografia con la rotativa Marinoni trova posto nel sottoscala. Giovanissimi i protagonisti dell'avventura: con i coniugi Scarfoglio, a riempire le 4 pagine su 5 colonne del giornale (che passeranno a 6 pagine nel 1906, con la pubblicazione della prima fotografia il 28 aprile 1904) ci saranno il poeta e canzoniere Ferdinando Russo non ancora 26enne, il brillante libero docente di economia Francesco Saverio Nitti, 24 anni, accanto ad altri amici come Federigo Verdinois e Roberto Bracco e una schiera crescente di collaboratori del calibro di Carducci, Panzacchi, de Zerbi, Di Giacomo,Croce e tanti altri. 

L’eredità. Scarfoglio dirigerà «Il Mattino» sino alla morte, il 6 ottobre 1917, dieci anni prima della scomparsa della sua ex moglie e ormai agguerrita concorrente nel mercato editoriale. A prendere le redini del giornale saranno i figli gemelli Paolo e Carlo, almeno fino alle ingerenze del fascismo, che dal 1924 metteranno a dura prova la libertà di stampa da sempre rivendicata dal «Mattino» di Scarfoglio e Serao. E solo nel 1950, con la direzione di Giovanni Ansaldo, la testata ricomparirà nelle edicole dopo anni di assenza. Impossibile sintetizzare, nello spazio limitato di un articolo, 125 anni di questa storia complessa, legata al carisma dei suoi due protagonisti-cofondatori e intrecciata ai grandi fatti storici di quella stagione di transizione infraseculare ripercorsa - con “tagli” molto diversi - dai volumi di Francesco Barbagallo, Gianni Infusino, due discepoli di Raffaele Giglio e da Antonio Scarfoglio stesso, con una serie di articoli pubblicati, dal 23 novembre 1955, sul «Corriere di Napoli».

Una storia avventurosa, costellata di successi e vicissitudini (vertenze giudiziarie, processi e inchieste, 16 sequestri dal 1896 al 1900, sassaiole e danneggiamenti, accanto a tecniche e strategie comunicative innovative, scoop di “inviati speciali e letterati viaggianti”, convenzioni internazionali come quelle stipulate, nel 1906, con il «Matin», il «Times», il «New York Sun»). Una storia ancora aperta: quella di una grande passione, dominata dal “demone del giornalismo” in un’opera collettiva, specchio – nel bene e nel male - del suo tempo. E dell’umanità che l’abita.

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