L'alba della Repubblica, intervista al costituzionalista Alfonso Celotto: «Fu un referendum vero»

«Il referendum abrogativo ha costituito uno dei momenti più alti di democrazia, con scelte storiche come divorzio e aborto»

Il salone della Lupa a Montecitorio
Il salone della Lupa a Montecitorio
di Generoso Picone
Giovedì 15 Dicembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 18:59
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«Fu un referendum vero», dice Alfonso Celotto, costituzionalista, docente all'Università Roma Tre, autore di numerosi saggi sulla materia e qualche mese fa del romanzo Fondata sul lavoro (Mondadori, pagg. 180, euro 18) che nel registro del giallo si misura con le questioni e gli intrighi riscontrabili nel percorso verso il varo della Carta, tra il voto del due giugno 1946 e l'entrata in vigore il primo gennaio 1948. 

Celotto, lei afferma che si trattò di una consultazione vera. Eppure sul risultato non sono mancate ombre e polemiche.
«Guardi, diamo uno sguardo al calendario del periodo. Tre mesi dopo l'Italia, l'8 settembre 1946, andò al voto la Bulgaria per scegliere tra Monarchia e Repubblica: prevalse quest'ultima opzione con il 95,6 per cento dei voti, da allora si è introdotta nel lessico non soltanto politico la definizione di maggioranza bulgara. Il 6 luglio 1946 toccò poi alla Spagna e scelse di restaurare formalmente la dinastia reale alla morte di Francisco Franco con il 93 per cento dei consensi. Maggioranze schiaccianti, insomma, decisamente sospette: delineano un quadro storico che rimanda ai plebisciti di annessione al Regno di Sardegna tra il 1859 e il 1860 che avevano fatto registrare più del 95 per cento di sì. La verità è che si trattava di ratificare con un voto più o meno finto una decisione già presa. Il due giugno 1946 il referendum in Italia tornò a essere una istituzione di democrazia autentica, con una lotta all'ultima scheda».

E il fantasma dei brogli. Tanto che si dovette aspettare più di due settimane, il 18 giugno, per la proclamazione ufficiale da parte della Corte di Cassazione.
«La Repubblica prevalse con il 54,27 per cento, la Monarchia ebbe il 45, 72. Due milioni di voti di differenza. Ma il ritardo fu dovuto ai professori dell'Università di Padova guidati dal deputato Enzo Selvaggi che avanzarono il quesito relativo a quale maggioranza considerare: degli elettori votanti o dei voti validi? Certo, la democrazia nasconde un dato di ingiustizia, ma in quel periodo il clima era di grande incertezza e l'atmosfera assai tesa, da guerra civile se si pensa ai moti di piazza a Napoli, dove vinse la Monarchia. Qui si ebbe la straordinaria abilità di Alcide De Gasperi che spinse re Umberto, il quale per altro aveva partecipato al referendum da elettore legittimandolo, a lasciare l'Italia il 13 giugno. Venne così evitata la spaccatura tra il Nord e il Sud, prevalse il principio della pacificazione e si avviò una delicata transizione alla democrazia a cui contribuì efficacemente anche il senso di responsabilità di Palmiro Togliatti, attraverso l'amnistia ai fascisti. Gaetano Azzariti, per esempio, fu nominato ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo Badoglio e presidente della Corte costituzionale dal 1957 al 1961 ed era stato il presidente della Commissione sulla razza durante il regime mussoliniano. Non a caso, si stabilì che il primo capo dello Stato fosse un meridionale».

La strategia dell'equilibrio?
«La prima indicazione per la presidenza della Repubblica andò verso Benedetto Croce, che rinunciò comunicando la sua volontà in una lettera a Pietro Nenni. Poi si pensò a Vittorio Emanuele Orlando e quindi a Enrico De Nicola. Napoli era considerata a ragione una città dal ruolo fondamentale nella costruzione dell'Italia repubblicana, il luogo simbolo del conservatorismo del Paese. Una classe politica matura, formata da uomini temprati nella lotta al fascismo e nella Resistenza, seppe svolgere al meglio il suo compito».

Nacque in questo modo la Repubblica fondata sul lavoro.
«Una definizione che rappresenta la sintesi alta tra le culture politiche socialista, cattolica e liberale. Un compromesso si realizzò su un significativo terreno di qualità».

Dunque, una Repubblica basata anche sulla mediazione?
«Il risultato del referendum, pur tra le divisioni, venne alla fine accettato in una decina di giorni».

Da allora l'istituto del referendum avrebbe comunque accompagnato la vita dello Stato e della società: il divorzio nel 1974, l'aborto nel 1981.
«Il referendum abrogativo ha costituito uno dei momenti più alti di democrazia, con scelte storiche come divorzio e aborto, ma a volte miopi, come è stato per il nucleare».

Nel 2016 un referendum ha bocciato il progetto dell'allora premier Matteo Renzi per le modifiche costituzionali.
«Una grande democrazia occidentale, come l'Italia, ha tutte le possibilità di adeguare la propria Carta».

Altri non hanno raggiunto il quorum di affluenza. Un segnale di crisi?
«Oggi un referendum funziona più sulle grandi scelte. Con lo sviluppo del digitale e il sempre maggiore astensionismo andranno trovate nuove forme per rinvigorire la partecipazione democratica». 

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