Le prime pagine storiche del Mattino: gli otto minuti del duce che portarono l'Italia nel baratro della guerra

Le prime pagine storiche del Mattino: gli otto minuti del duce che portarono l'Italia nel baratro della guerra
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 15 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo agg. 18:55
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Erano le sei del pomeriggio, quando Benito Mussolini si affacciò dal balcone di Palazzo Venezia a Roma al grido rituale di «Saluti al duce!». Quel 10 giugno del 1940 l'Italia si avviava verso il baratro della seconda guerra mondiale, che avrebbe portato lutti e distruzioni sancendo la fine del fascismo. Mussolini dichiarava guerra a Francia e Inghilterra contro cui già da nove mesi combatteva la Germania di Hitler. Aveva esitato, atteso, dopo aver dichiarato qualche mese prima la «non belligeranza». Quando l'esercito tedesco conquistò in un batter d'occhio la Danimarca e la Norvegia dopo essere entrato in Francia e aver sconfitto gli inglesi a Dunkerque, si convinse che bisognava scendere al fianco di Hitler per spartirsi i risultati della vittoria.

Non sarebbe stato così, già alle prime scaramucce con i francesi i disorganizzati soldati italiani se la videro male. Ma quel 10 giugno di 82 anni fa, immortalato dalle cineprese dell'Istituto Luce e registrato dai microfoni in diretta per essere trasmesso anche nelle piazze collegate di Genova, Torino, Milano, Venezia, Trieste e Bologna, Mussolini fece otto minuti di discorso baldanzosi e sicuri. In piazzale Venezia, la folla era «oceanica» come si diceva allora. Ed era vero, in tanti non vollero perdersi l'annuncio che avrebbe cambiato le loro vite. Ma l'entusiasmo in camicia nera vedeva solo vittorie e successi. Più volte Mussolini fu interrotto dalle grida di «Duce, duce!», dagli applausi, dalle urla entusiaste. E lui, da consumato comunicatore, sottolineava il discorso con pause studiate, con mutamenti repentini di tono. Quelle parole sarebbero state riprodotte anche in dischi a 78 giri, che avrebbero fatto il giro delle case italiane. 

Come tutti i giornali italiani, naturalmente anche «Il Mattino» diede ampio risalto all'annuncio storico. A otto colonne, il titolo di prima pagina su tre righe. Secca la notizia, il commento veniva dato nel sommario: «La nostra è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia, contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze, è la lotta tra due Secoli e due Idee». Era la lettura fascista dell'entrata in guerra, una sorta di conflitto tra poveri e ricchi con un'esortazione nel sommario subito sotto: «Popolo italiano, corri alle armi». E poi le parole conclusive del discorso mussoliniano accolte dalle acclamazioni della folla: «La parola d'ordine è vincere. E vinceremo!».

In tutti i giornali, compreso «Il Mattino», c'erano stati movimenti di direttori nei mesi precedenti quel 1940. L'Italia si preparava alla prova più impegnativa e fatale del ventennio fascista e nei posti di comando bisognava inserire fedelissimi al credo mussoliniano. Non era difficile trovarli, in quel periodo. Dall'otto dicembre del 1939, appena sei mesi prima la dichiarazione di guerra, nella stanza che era stata di Edoardo Scarfoglio sedeva un giornalista da sempre in camicia nera: Cesare Marroni. Aveva 40 anni, quando confezionò la storica prima pagina dell'entrata in guerra. Originario di Bagni di Lucca, prima di arrivare a Napoli aveva diretto per tre anni il «Giornale di Sicilia». Inizi nella sua Toscana a 19 anni in un periodico locale, poi subito l'adesione ai Fasci di combattimento scrivendo sul «Lavoro fascista», «Costruire», la «Gazzetta del popolo». Si era conquistato il titolo onorifico di cavaliere, per poi essere, dall'ottobre 1935 al gennaio 1936, tra i 37 inviati alla guerra di Eritrea. Era in buona compagnia con Giovanni Artieri, Luigi Barzini, Bruno Roghi, Paolo Monelli. Menzione speciale e carriera spianata da chi era nato, cresciuto e premiato con il fascismo. 

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Nei suoi due anni e mezzo napoletani, Cesare Marroni abitò in via Carducci a Chiaia. Fu il direttore del «Mattino» negli anni della guerra, che incoraggiò e coprì negli insuccessi come si usava e come doveva. Nel confezionare quella prima pagina, con tanto di foto ufficiale presa di profilo del duce dal mascellone fiero e l'elmetto militare, il direttore ebbe il fondamentale apporto del redattore capo Antonio Sergio, altro giornalista in camicia nera pure lui in anni precedenti nominato cavaliere. L'impostazione fu comunque giornalistica: la notizia innanzitutto. I commenti erano già nelle parole di Mussolini inserite ad arte. La notizia nel pezzo di apertura a due colonne è precisa, con un incipit sull'evento e l'orario, per poi proseguire, sotto l'intertitolo «Parla il Duce», con le parole testuali di Mussolini. Di spalla, ma sempre sotto il titolo grosso a otto colonne, ammiccamenti alla Germania, con la notizia della reazioni «entusiastiche per l'intervento dell'Italia in guerra» e il telegramma di Hitler a Mussolini e al re, dove si parlava, chissà con quanta convinzione, di «potente forza dell'Italia». Un documento storico, la pagina uscita dalla rotativa di Vico Rotto San Carlo letta con avidità dai napoletani. Tanti con entusiasmo, accecati dalle parole e dalla propaganda mussoliniana, pochi con preoccupazione. 

 

A leggere quel numero del «Mattino», che era di quattro pagine come gran parte dei giornali di allora per risparmiare carta, è evidente il taglio del racconto di un entusiasmo collettivo all'annuncio di una follia. Nella cronaca della Campania a pagina due, si dà conto di un «irrefrenabile entusiasmo del popolo campano per il discorso del Duce». Non era invenzione, era l'Italia di allora, accecata e incapace di capire in pieno, bombardata da informazioni monocorde. Dal dicembre 1939 all'aprile 1942, alla direzione del «Mattino» Cesare Marroni fu soprattutto un giornalista militante. Ce ne sarebbero stati anche in era repubblicana, ma Marroni esercitò convinto il suo ruolo nella propaganda di guerra. E sei mesi prima di quel giugno 1940, il giorno dopo il suo arrivo a Napoli che coincideva con i primi 100 giorni di guerra tedesca, sulla «non belligeranza» di allora il direttore Marroni già scriveva preparando il terreno: «Non si tratta di neutralità e disinteresse, bensì di un accentuato interesse e di una operante vigile preparazione». Premonitore. 

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