Covid, individuate mutazioni “spia” delle forme più severe

Covid, individuate mutazioni “spia” delle forme più severe
Venerdì 11 Giugno 2021, 21:00
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Ci sono delle predisposizioni genetiche alle forme più gravi di Covid. La notizia pubblicata dal network editoriale PreSa Prevenzione - Salute, riprende uno studio tutto italiano nato dalla collaborazione multidisciplinare di ricercatori e medici di Ospedale Moscati di Taranto, Pineta grande Hospital di Caserta), Università Cattolica, IRCCS-Fondazione Bietti e Università di Bari. Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale Pharmacogenomics and Personalized Medicine ha indagato in particolare la relazione tra i sintomi più gravi del Covid e la presenza di alcuni polimorfismi genici, che costituiscono delle variazioni fisiologiche nel genoma che si trovano nella popolazione. «Quello che abbiamo scoperto – spiega la dottoressa Alessandra Micera, direttrice del Laboratorio della Fondazione IRCCS G.B. Bietti – è che i sintomi più gravi si sono verificati in pazienti che avevano dei particolari polimorfismi genici». In pratica, alcune varianti genetiche potrebbero favorire l’insorgenza delle forme più gravi di Covid.

Nel dettaglio, la ricerca si basa sull’individuazione di alcuni polimorfismi noti nei geni coinvolti nel sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAS). Quest’ultimo è il meccanismo ormonale che regola pressione sanguigna e funzione cardiovascolare ed è coinvolto nel danno polmonare e nel declino funzionale degli organi principali nei pazienti COVID-19. In questo studio pilota, i polimorfismi genici – Ace1 (enzima di conversione dell'Angiotensina 1), Ace2 (enzima di conversione dell'Angiotensina 2), Agt (Angiotensinogeno) e Agtr1 (recettori del recettore dell'Angiotensina II di tipo 1) – sono stati individuati in pazienti sintomatici COVID-19 (con compromissione respiratoria, obesità, ipertensione, diabete e congiuntivite). «Le varianti geniche per Ace2, Ace11 e Agt potrebbero, perciò, rappresentare un eccellente mezzo di previsione dell’esito clinico nei pazienti sintomatici e di indirizzamento nell’intervento terapeutico in pazienti non ancora gravemente sintomatici», conclude Micera.

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