Long Covid, guariti ma non subito:
gli effetti post-pandemia

Long Covid, guariti ma non subito: gli effetti post-pandemia
Mercoledì 31 Marzo 2021, 00:00
4 Minuti di Lettura

Anche dopo che la malattia è vinta, il Covid continua a farsi sentire. A volte, anche quando l'infezione passa asintomatica, e forse questo è uno degli aspetti meno noti, sono molte le complicanze che possono accompagnare il decorso, allontanando il momento della piena guarigione. Di certo, che ci si ammali in modo sintomatico o meno, sono profonde le cicatrici dell'anima che questa pandemia lascia in ciascuno di noi. «Sotto il profilo emotivo, il picco, come si usa dire di questi tempi, è ancora molto lontano», spiega Rossella Aurilio, presidente della Società italiana di psicologia e psicoterapia Relazionale (Sippr). Quando tutto sarà finito registreremo un vero e proprio crollo. Già oggi vediamo una forte ripresa dei disturbi alimentari negli adolescenti, l'esplosione di rabbia in gruppi di giovani che addirittura si incontrano solo per affrontarsi. Quando la pandemia giungerà alla fine ci troveremo davanti a comportamenti gravemente alterati, dei quali dovremo farci carico».

Ovviamente i segni del Covid si insinuano in modo differente, a seconda delle difficoltà affrontate. «Nei sintomatici - aggiunge la professoressa - pesa molto l'isolamento, l'angoscia profonda legata alla paura della morte. Basti pensare alle persone che hanno vissuto il dramma di essere intubate. Ma anche l'esigenza di dover accettare per lungo tempo di non essere nel pieno delle proprie capacità. Dover fare una lunga riabilitazione significa doversi porre dei limiti, chiedere aiuto agli altri». Va detto che il disagio riguarda anche chi è stato schiacciato da questa pandemia senza contrarre il virus.

Aurulio ricorda che «il Covid porta con sé disturbi di ansia e depressione. La sanità pubblica dovrà garantire nei prossimi anni un sostegno professionale, con terapie psicologiche adeguate e qualificate». Del resto, la Sippr ha il polso della situazione per aver risposto a un'immensità di richieste di aiuto psicologico provenienti da tutta Italia nel periodo più caldo della prima ondata, tramite il numero verde allora istituito dal ministero della Salute. «Investire sul capitale umano - afferma Aurilio - sarà un imperativo, perché sotto il profilo psicologico le condizioni peggiori le vedremo quando l'emergenza sarà terminata».

Già oggi, invece, c'è un'enorme platea di pazienti che portano a livello cardiologico i segni della malattia. Spesso senza neanche esserne consapevoli. Non di rado anche una malattia da Covid del tutto asintomatica può portare a patologie pericolose. «Il rischio, soprattutto per gli asintotici - chiarisce Ciro Mauro, direttore della struttura complessa di Cardiologia con Utic del Cardarelli - è la viremia e la possibilità che il Covid favorisca l'insorgere di miocarditi o pericarditi. Le miocarditi posso infatti dare origine ad aritmie anche letali. Tachicardie ventricolari che rischiano di evolvere eventi drammatici».

Il consiglio dello specialista, se si è avuto il Covid, è quindi quello di verificare che il miocardio non sia dilatato. Per farlo, basta una visita cardiologica e un ecocardiogramma. Solo nei casi più complessi una risonanza magnetica, ma sempre su consiglio del cardiologo. «Per i pazienti guariti dal Covid, è essenziale stratificare il rischio», ricorda Mauro, «ed eventualmente, è importante verificare la presenza di aritmie pericolose. Purtroppo, temo che la popolazione dei cardiopatici post Covid sia destinata aumentare nei prossimi anni». L'invito alla prevenzione per chi è stato affetto dalla malattia non deve creare allarme. Mauro ricorda che è fondamentale andare per step, «partire da una visita cardiologica e poi rifarsi al parere dello specialista per eventuali ulteriori approfondimenti». Possono esserci anche dei campanelli d'allarme, ai quali prestare attenzione. Ad esempio, per le pericarditi, se si hanno dolori al torace anche a riposo, prevalentemente quando si respira o si tossisce. Oppure, se c'è dispnea anche a risposo e in conseguenza di sforzi lievi.

Ai medici è evidente, anche in assenza di problemi ai polmoni o al cuore, che il Covid riduce drasticamente la condizione fisica di chi si è ammalato. A distanza di diversi mesi dal doppio tampone negativo, la condizione fisica stenta a tornare quella di prima. «Un problema che riguarda soprattutto le persone che fanno sport a livello amatoriale. Donne e uomini che devono accettare di passare da una buona condizione fisica alla possibilità di sentirsi affaticati per una semplice rampa di scale», spiega Germano Guerra, vicedirettore del dipartimento di Medicina e scienze della salute Vincenzo Tiberio, dell'Università degli studi del Molise.

Discorso diverso per chi pratica sport ai massimi livelli, che nella maggior parte dei casi supera la malattia senza risentirne quasi per nulla. «Negli atleti amatoriali - dice Guerra - il decremento delle prestazioni si fa sentire, e anche molto. Il consiglio che, come medici dello sport, ci sentiamo di dare è quello di reimpostare i modelli di allenamento. Anche se la voglia c'è, non si può pensare di chiedere troppo al proprio corpo». Guerra spiega che bisogna ripartire con una frequenza minore, portando avanti un lavoro incrementale. Normalmente «il gap si recupera ma non prima di sei mesi dalla negativizzazione del test, mentre nei primi tre mesi si riesce a recuperare un livello di performance accettabile». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA