Caputo, principe della farina:
«Il futuro è l'etichetta pulita»

Caputo, principe della farina: «Il futuro è l'etichetta pulita»
di Emanuela Sorrentino
Lunedì 21 Maggio 2018, 09:00
3 Minuti di Lettura
«Il futuro delle farine? Puntare su quella che definiamo «etichetta pulita», una sorta di bollino identificativo che possa rendere l'acquirente ma anche l'utilizzatore maggiormente consapevole della qualità del prodotto». Ascoltando le parole di Antimo Caputo, amministratore delegato di Mulino Caputo sembra essere questo l'obiettivo da raggiungere entro il 2020. Un traguardo che rispecchia una tendenza locale, nazionale e internazionale in tema di pizza e lievitati.

E così se in Italia si è fatto un lavoro di squadra per il disciplinare e per la certificazione Stg e si è innescata una proficua gara tra pizzaioli, imprenditori e consumatori per far riconoscere la pizza patrimonio immateriale dell'Unesco, si sta facendo lo stesso ora in America per avere un disciplinare per la pizza artigianale.
«Sì proprio in America spiega Caputo dove siamo abituati a vedere grandi catene di pizzerie. Ogni stile di pizza ha il suo dna e la sua identità. Utilizzare prodotti identitari vuol dire avere una propria caratteristica di territorialità, da non confondere con il discorso del chilometro zero».

Negli Stati Uniti si sta scoprendo un mercato fatto di pizza artigianale di qualità?
«Certo. Un mercato molto consapevole, come Mulino Caputo posso dire di avere tanta richiesta di farine artigianali e come me altri colleghi del comparto molitorio italiano. Farine senza additivi, prodotti quindi puri, con grani macinati in maniera controllata». 

E così accanto alla pizza artigianale napoletana c'è una sorta di pizza americana che potrebbe essere il suo alter ego'?
«Si sta lavorando sulla ricerca di materie prime di qualità a cominciare ovviamente dalla farina. L'etichetta «pulita» è alla base ovviamente di questo impegno che si sta facendo molto sentire nel mercato americano. La pizza artigianale napoletana richiede ricerca di ingredienti associata a identità. E questo messaggio è arrivato anche in America».

L'etichetta pulita cosa deve contenere?
«Anzitutto deve esserci scritto farina di grano tenero che sia di tipo 0, 00, tipo 1 e integrale. Oggi ci sono sempre più preparati che hanno al loro interno farine artigianali. Il discorso dell'etichetta pulita va rivolto non solo a pizzaioli, chef, panificatori e pasticcieri ma anche ai consumatori che ogni giorno comprano confezioni di farina».

Quanto importante è il rapporto tra azienda e artigiani?
«Ascoltare chi lavora e trasforma la farina è essenziale - prosegue Antimo Caputo -. Come azienda lo abbiamo sempre fatto. Per questo motivo ci è stata tramandata sin da mio nonno la farina Caputo tipo 1, che soddisfa le esigenze di tanti chef. Una farina di germe e crusca con grani che danno idratazione, estensione al prodotto realizzato e lunga lievitazione. Senza poi dimenticare la leggerezza dell'impasto». 

E sulla tendenza ad utilizzare per la pizza le farine integrali?
«Le farine integrali e quelle multicereali non le vedo adatte per la pizza tradizionale artigianale, sono molto amate dalle donne forse perché sono le più attente alla linea ma io le intendo più come base per focacce, per giocare' con gli ingredienti, ma non per una buna pizza».

E per i prodotti senza glutine?
«L'obiettivo è quello di far sì che per l'intollerante e il celiaco possano essere preparate pietanze, e quindi anche pizze, adatte alle loro esigenze, senza tralasciare mai il gusto. La nostra sfida, e crediamo di esserci quasi riusciti, è quella di dare vita a farine che garantiscano un impasto di qualità per un prodotto finale sempre eccellente».
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