De Sica: «Acchiappafantasmi a Napoli» diretto da suo figlio

De Sica: «Acchiappafantasmi a Napoli» diretto da suo figlio
di Andrea Spinelli
Sabato 23 Marzo 2019, 11:09
4 Minuti di Lettura
Quest'anno niente cinepanettone per Christian De Sica. Piuttosto: dolcetto o scherzetto? Dopo i trionfi al botteghino della reunion con Massimo Boldi in «Amici come prima», infatti, il figlio del grande Vittorio punta su un fantasy partenopeo da mandare nelle sale per Halloween a cui sta lavorando in questi giorni tra una prova e l'altra di «Christian racconta Christian De Sica» lo spettacolo che lo porta in teatro a conversare con Pino Strabioli accompagnato da un'orchestra di 50 elementi diretta da Marco Tiso. Debutto il 30 marzo all'auditorium Parco della Musica di Roma.

Che film sarà, Christian?
«Una sorta di horror comedy intitolata Sono solo fantasmi che girerò interamente a Napoli assieme a mio figlio Brando, su soggetto di Nicola Guaglianone».

Quello di «Lo chiamavano Jeeg Robot». Sembra che a suggerirvi la trana sia stata «Fantasmi a Roma», la commedia fantastica realizzata nel '61 da Antonio Pietrangeli con Mastroianni, Gassman e la Milo. Più Eduardo De Filippo.
«Sto lavorando assieme a due giovani sceneggiatori, Luigi Di Capua del collettivo The Pills e Andra Passi. Nel film io, Carlo Buccirosso e Gianmarco Tognazzi siamo tre figli dello stesso padre, ma di madri diverse, che si ritrovano a Napoli per dividersi l'eredità. Davanti alla miseria del lascito, però, tentano di raggranellare qualche euro improvvisandosi ghostbuster, acchiappafantasmi, finendo però col risvegliare gli spettri veri. Uscirà ad ottobre».

E a teatro, invece, che cosa dobbiamo aspettarci?
«Tutto quello che m'è capitato nella vita. La fregatura di essere stato concepito da mio padre a 51 anni e, quindi, di non averlo avuto accanto tutto il tempo che avrei voluto, ma anche l'enorme fortuna di aver potuto conoscere, grazie a lui, personaggi straordinari come Ava Gardner, Charlie Chaplin, Sophia Loren, Montgomery Clift. Perfino di cantare con Wanda Osiris. Diciamo che ho fatto il giro della morte, se è vero che da Chaplin mi sono ritrovato a lavorare con Boldi».

 

Nello spettacolo trova spazio anche un ricordo di suo zio Ramón Mercader, l'assassino Lev Trotsky?
«No. Non era proprio uno zio, ma un parente. Quella di mia madre era una famiglia aristocratica spagnola comunista. Ramón andò in Russia e gli fu commissionato quell'omicidio. Ammazzò l'unico bolscevico giusto con una picconata. Oggi è seppellito sotto falso nome a Cuba. Nel '72 Josph Losey girò un film su quel fatto, con Alain Delon nei panni di Ramón e Richard Burton in quelli di Trotsky».

In scena canterà: che cosa?
«Canzoni legate alla mia vita, anche di autori che molti giovani magari non conoscono, penso a Giovanni D'Anzi, a Gorni Kramer, a Lelio Luttazzi, che non hanno forse avuto il successo dei Trovajoli, dei Piovani o degli Ortolani, ma rimangono dei grandissimi. Non si tratta di uno spettacolo tradizionale, perché entro in scena dalla platea e i primi minuti li passo a salutare il pubblico per provare a trasformare la serata in un incontro tra amici, stimolato da Strabioli che ha una cultura cinematografica straordinaria».

A proposito di musica, nel '73, con «Mondo mio», partecipò al suo primo ed unico Sanremo. Esordiente come Roberto Vecchioni, che arrivò settimo, mentre lei fu eliminato la prima sera.
«Ricordo ancora lo sguardo in cagnesco di Mike Bongiorno. Tornato in albergo, ad Imperia, sentii bussare alla porta; era Milva che, per rincuorarmi, disse: A 23 anni che te ne importa, pensa a me che ne ho molti anni più di te e sono arrivata terza... è molto più triste. Negli anni mi hanno offerto un paio di volte di condurre il Festival, ma ho sempre detto di no perché avevo altri impegni. Oggi accetterei».

Il suo grande idolo canoro rimane Sinatra.
«Sì, l'ho conosciuto una sera a Parigi. Mio padre stava girando un film con Shirley MacLaine e Peter Sellers, Sette volte donna, e ci trovavamo tutti al Lido per festeggiare il Capodanno. The Voice, che non aveva un bel carattere, arrivò con addosso uno smoking marrone e iniziò a parlare con Shirley e dicendole di essersi comprato una barca. Vedi le disse il problema non è avere lo yacht, ma amici che ci vengono e che ti sopportano. Rimasi di sasso».

La solitudine dei numeri primi.
«Un po' come Marilyn, quando confidò alla Loren sono talmente Marilyn Monroe che nessun uomo m'invita a cena. La riprova che questo mestiere è un grosso, enorme, equivoco. Anche gestire la notorietà è faticoso. Perché il successo dà alla testa... e, se è per questo, pure l'insuccesso, come diceva Flaiano».
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