È il terzo film che l'attore e regista irlandese Kenneth Branagh dedica al più classico degli investigatori francofoni: Hercule Poirot. «Assassinio a Venezia» sarà nei cinema italiani da dopodomani e vede ancora una volta Branagh interpretare nei panni del detective belga nato dalla penna di Agatha Christie, dopo «Assassinio sull'Orient Express» del 2017 e »Assassinio sul Nilo» (2022) la cui uscita fu ritardata più volte a causa della pandemia e poi fu travolto dall'accusa di abusi sessuali caduta su uno dei protagonisti, Armie Hammer. Nonostante tutto il film riuscì ad incassare 130 milioni al botteghino internazionale, e subito dopo fece benissimo in streaming, su Disney+, fatto che ribadisce il fascino senza tempo delle avventure di Poirot e che fa ben sperare per la riuscita di questo terzo film la cui sceneggiatura è stata scritta ancora una volta a due mani con Michael Green.
Tratto dal romanzo Hallowe'en party, in italiano Poirot e la strage degli innocenti ci porta dalle campagne inglesi alla laguna di Venezia, durante il secondo dopoguerra. Poirot, ormai in pensione, decide con una certa riluttanza di partecipare ad una seduta spiritica. Qualcosa va storto, naturalmente, e il film si sviluppa su inusuali toni del thriller soprannaturale.
La passione per i romanzi di Aghata Christie, Branagh l'ha ereditata dalla madre, tanto che nell'autobiografico «Belfast», che lo scorso anno vinse l'Oscar per la migliore sceneggiatura originale, l'artista irlandese inserisce una scena natalizia nella quale alla madre del protagonista (interpretata da Caitríona Balfe) viene regalato proprio Hallowe'en party. «Mia madre, piuttosto avanti nella vita, intorno ai quarant'anni, divenne dal niente un'accanita lettrice. Il suo genere preferito era il giallo. Si era appassionata ai romanzi di Aghata Christie, per questa ragione in “Belfast” volli girare quella scena, ma no, allora non sapevo ancora che avrei fatto un film tratto da quel romanzo», spiega il premiato esegeta shakespeariano.
Branagh, per l'occasione ha richiamato sul set proprio due protagonisti di quel film, Jamie Dornan e Jude Hill, il giovanissimo protagonista di «Belfast», nei panni di Branagh bambino che a nove anni lascia per sempre la turbolenta città del titolo. Nel cast anche la recente vincitrice dell'Oscar Michelle Yeoh, Tina Fey, Kyle Allen e il nostro Riccardo Scamarcio.
«Fra Jude Hill e Jamie Dornan si era instaurato un rapporto sul set di “Belfast” che già allora avevo pensato di voler sfruttare in seguito, appena se ne sarebbe presentata l'occasione, ed eccola arrivata. Anche in questo caso interpretano padre e figlio. Jude nonostante la giovanissima età è un attore consumato. Molto serio, molto professionale».
Perchè Poirot? A cosa deve il suo intramontabile successo? Branagh ha due risposte a questa domanda: «La prima, personale, è che amo il personaggio e la sua rigorosa posizione morale. Per lui c'è il giusto e lo sbagliato, e niente in mezzo. La seconda riguarda il perché un successo si ripropone nel tempo e raccoglie sempre consensi. Credo che sia dovuto al fatto che esistono generi e ricette che non passano mai di moda. Il primo adattamento cinematografico di un giallo di Agatha Christie risale al 1928. Ancora pochi anni e parliamo di un secolo. Le sue storie acquistano una patina antica senza davvero mai invecchiare».
In «Assassinio a Venezia» però ci sono differenze rispetto ai due film precedenti e queste riguardano soprattutto la svolta horror, genere che Branagh aveva già sperimentato nel suo sesto film da regista, «Frankestein di Mary Shelley», del 1994: «C'è un personaggio, nel film, che ad un certo punto dice: «Le storie spaventose rendono la vita meno spaventosa!. Forse è per quello che in questo romanzo Aghata Christie ha voluto spaventare un po' di più che negli altri suo racconti e noi siamo ben felici di farlo con lei. Poirot dovrà fronteggiare più di un fantasma durante questa lunga scura notte di tempesta in un palazzo stregato di Venezia e nel farlo noi speriamo di divertire, intrattenere e anche spaventare il pubblico. Perché le storie di paura rendono la vita meno spaventosa, certo, ma soprattutto rendono i film più divertenti».
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