Bellocchio: «Il premio più grande l'emozione del pubblico»

Il regista sta accompagnando nelle sale di tutt'Italia «Rapito»

Marco Bellocchio
Marco Bellocchio
di Titta Fiore
Venerdì 2 Giugno 2023, 09:48 - Ultimo agg. 17:24
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Dopo i tredici minuti di applausi a Cannes e la calorosa accoglienza della stampa internazionale, Marco Bellocchio sta accompagnando nelle sale di tutt'Italia «Rapito», il film che lo ha riportato sulla Croisette per la quarta volta consecutiva dopo «Il traditore», «Marx può aspettare» (con la consegna della Palma d'onore) e la serie «Esterno notte». Un record che esalta una volta in più la sua luminosa carriera.

Oggi il maestro sarà a Napoli per un triplice appuntamento, accompagnato dagli attori del film Fabrizio Gifuni, Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi: alle 18,40 al Filangieri, alle 20 al Modernissimo e alle 21 all'America Hall. «Rapito», appena candidato a nove Nastri d'argento, è la storia del bambino ebreo Edgardo Mortara che nel 1858 fu sottratto con la forza alla famiglia per essere allevato da cattolico sotto la diretta custodia di Papa IX.

Il fatto sollevò all'epoca un caso internazionale e ancora oggi fa discutere, suscitando un ampio dibattito non solo nei media cattolici. L'incontro con gli spettatori entusiasma il regista: «Il film mi sta dando molte soddisfazioni» racconta, «l'impatto con il pubblico è forte».

Cosa la colpisce?
«La commozione di chi mi dice: "Ho pianto dall'inizio alla fine", e la fortissima emozione della gente. Poi, certo, il discorso politico esiste e sta venendo fuori, ma in seconda battuta».

Sulla stampa e tra gli studiosi di area cattolica c'è grande attenzione al film e ai suoi temi. Se lo aspettava? Ne era preoccupato?
«Negli interventi si riconosce che c'è stato un passato di una violenza estrema, che si sono commessi errori dettati dall'intolleranza, e questo è importante. In nome di una fede è stato possibile strappare un bambino dalla sua famiglia e danneggiarlo fortemente. Ai tempi del mio film "L'ora di religione" le reazioni erano più politiche, oggi è come se il peso ideologico progressivamente impallidisse. Ma è un atteggiamento che corrisponde al mio spirito: su tutto mi interessava la vicenda del piccolo Edgardo che senza colpa viene tolto ai suoi cari».

Perché è stato così difficile scegliere il protagonista del giovane Mortara?
«Perché di bambini che sanno recitare ce ne sono tanti. Ma appunto, recitano. Io ne cercavo uno che avesse uno sguardo con dentro un mondo: di dolore, di profondità, anche di ambiguità. Mi hanno colpito gli occhi di Enea Sala. Doveva essere un bambino che per non morire si piega, però con delle reazioni improvvise di rabbia inaspettata».

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Ma quando il Papa Re viene sconfitto, Edgardo si rifiuta di tornare alla famiglia e alla religione ebraica.
«È un mistero, eppure andò così. Del resto, chi ha subito una violenza non se ne libera facilmente e molto spesso la ripete senza avere successo. Mortara ha predicato per tutta la vita, si faceva chiamare Pio Edgardo in omaggio al Papa, ma di conversioni credo ne abbia fatte ben poche».

In una delle scene più potenti del film Edgardo toglie i chiodi dalle mani e dai piedi del Crocifisso per liberarlo. E liberarsi.
«Il bambino non è completamente domato, dentro di sé sente ancora la rivolta. E sogna di togliere i chiodi per conciliare la sua anima divisa in due e mettere d'accordo i propri genitori con il Papa».

Quanto contano le emozioni in questo racconto?
«Molto, il film ha caratteristiche da romanzo sentimentale, sia pure straziante. Mi verrebbe da dire da libro "Cuore", anche se naturalmente non mi sono ispirato al libro. Per certi versi penso a un film di tanti anni fa, "Marcellino pane e vino", un film franchista dove un piccolo santo muore ai piedi della Croce per poter rivedere la mamma che non c'è più».

Ha mandato una copia di «Rapito» a Papa Francesco, le ha risposto?
«Non ancora, gli ho scritto una lettera molto semplice, attendo. Il Papa ha mille cose più importanti da fare, ma è sorprendente, imprevedibile, aperto, spero che trovi il tempo e la voglia di vedere il nostro film».

È vero che lo ha mandato anche a Spielberg, a lungo impegnato sullo stesso soggetto?
«Gliel'ha inviato la produzione, il suo segretario ha risposto che lo avrebbe visto. Ma il caso Mortara ha interessato molti autori, anche Julian Schnabel voleva farlo. Certo, sarebbe stato un altro film».

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