Maglia con i cuori, dita inanellate e doppio filo di perle, Timothée Chalamet è un'icona fashion di massima moda, oltre che un divo amatissimo dai ragazzi e un sex symbol di bellezza molto contemporanea, fluido, inquietante e tenero proprio come il giovane cannibale che interpreta in «Bones and All» di Luca Guadagnino. Il film che ha infiammato la Mostra di Venezia facendo vincere il Leone d'argento al regista e il premio Mastroianni all'attrice Taylor Russell (spettacolare il red carpet di Timothée in tutina di lattice e schiena nuda), è uno dei più attesi della stagione e dal 23 novembre sarà nelle sale in più di 400 copie, vietato ai minori di 14 anni per il crudele realismo di certe scene. Guadagnino e Chalamet lo hanno presentato ieri a Roma e stasera saranno a Milano in un breve tour di lancio, anche ospiti di Fazio a «Che tempo che fa» su Raitre.
«Bones and All», girato in inglese negli Stati Uniti con capitali italiani (Vision, The Apartment del gruppo Fremantle e Sky) è una storia d'amore, romantica e disperata, tra due ragazzi ai margini della società, due giovani cannibali tormentati e fragili alla ricerca impossibile del proprio posto nel mondo.
Per Guadagnino «Bones and All» è «una fiaba sulla solitudine dell'esistenza e sul desiderio di rompere l'isolamento ritrovandosi nello sguardo di un altro. Di tutti i miei film è quello che affronta in maniera più diretta il tema di una figura che si staglia nella vastità di un vuoto». La storia è tratta dal libro di Camille DeAngelis Fino all'osso: «Ma rispetto al romanzo la protagonista viene abbandonata dal padre e non dalla madre, credo che il discorso sui padri cinici che non danno speranze ai ragazzi sia più compatto». Verso i suoi protagonisti outsider «condannati a una solitudine inesorabile» il regista prova «un mix di tenerezza e horror»: «Non ho mai pensato a Bones and All come a un film dell'orrore, piuttosto come alla storia di due personaggi che non possono liberarsi della loro natura». Per il primo film americano ha voluto fortemente al suo fianco Chalamet: «Senza di lui non avrei neppure cominciato». E l'attore lanciato da «Chiamami col tuo nome» non ha difficoltà ad ammettere di dovergli tutto: «Luca e il mio mentore, la mia roccia. Tra noi c'è una specie di partnership, ha un ritmo artistico coinvolgente. Questo film non è una saga di grandi produzioni o un franchise, esiste perché lui ha voluto dargli vita». A ventisette anni, con milioni di followers e una candidatura all'Oscar, Timmy, come lo chiama il regista, è un divo planetario. Ha mai avuto modelli? «Guardo ad attori di grande esperienza, tra i miei riferimenti ci sono Joaquin Phoenix, Hear Ledger, Daniel Day-Lewis e tanti altri. Luca è una grande fonte di ispirazione, autentico e irreplicabile, vorrei essere come lui e uscire dai territori già battuti». E Guadagnino, sente di aver «cannibalizzato» artisticamente qualcuno? «Non credo che guardare ai propri ideali si possa definire così. Diciamo che facendo Bones and All ho pensato spesso a Nicolas Ray chiedendomi come avrebbe girato lui quella scena, tutto qui».
Nel cast attori da Oscar come Mark Rylance, Chloé Sevigny e Jessica Harper: «Interpreti generosi, straordinari, superbi che mi hanno viziato» commenta il regista, «mi sento un uomo privilegiato». L'amore ricercato, inseguito, è raccontato come l'unica salvezza possibile. Chalamet: «L'amore può essere una cura, una terapia, ma anche la casella da barrare per avere altre conferme. È una promessa per cui si lotta sempre, ed è strano, perché tutti dovrebbero essere amati senza dover lottare». È d'accordo Guadagnino? «Io preferisco parlare di desiderio, mi attrae moltissimo. Il cinema è desiderio, anche Kubrick in Fire and Desire ce lo ha insegnato».