Brad Pitt e Leonardo Di Caprio stregano Cannes: «La nostra lettera d'amore a chi fa grande il cinema»

Brad Pitt e Leonardo Di Caprio stregano Cannes: «La nostra lettera d'amore a chi fa grande il cinema»
di Titta Fiore
Giovedì 23 Maggio 2019, 08:00
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CANNES - Una fila così, lunga tutto un piano, per una conferenza stampa non s'era mai vista. Il film di Tarantino dividerà pure la critica (per la verità sono gli italiani i più dubbiosi, agli stranieri è piaciuto molto, gli hanno dato fino a cinque stelle), ma per il resto fuori e dentro il Palazzo del cinema è un delirio, anche perché l'accoppiata Brad Pitt-Leonardo DiCaprio alza notevolmente il tasso di glamour e il livello di testosterone del Festival: erano i più attesi e non hanno deluso, il loro red carpet sfavillante e generoso di autografi resterà negli annali della manifestazione. A venticinque anni dal trionfo di «Pulp Fiction» il regista è tornato in concorso con «C'era una volta...a Hollywood», nello stesso giorno di allora, con molte aspettative e una gioia fanciullesca nella voce: «Non so se sono a un punto di svolta nella carriera, ma so che sono un uomo diverso, sei mesi fa ho incontrato la ragazza perfetta per me e mi sono sposato». Nel frattempo, ha lavorato come un pazzo al montaggio del film, chiuso in moviola per quattro mesi, perché ogni dettaglio fosse perfetto, ogni ricostruzione maniacalmente precisa. Il 1969, l'anno della strage di Charles Manson e della setta di hippies demoniaci in cui morirono la moglie di Roman Polanski, l'attrice Sharon Tate, e quattro suoi amici, gli sembra uno spartiacque, una cesura nelle storie della Mecca del cinema e nella storia dell'America. Dice: «È passato mezzo secolo da quel crimine, ma ne siamo ancora inorriditi e morbosamente affascinati, come succede quando ci si trova di fronte a un caso di cronaca irrisolto. Ho fatto molte ricerche sui delitti della Manson Family e il movente di tanta crudeltà resta incomprensibile».
 
E se l'horror fa da sfondo, fino all'inatteso finale, i due protagonisti sono illuminati da una luce speciale per tutto il film. DiCaprio, attore di B-western, e Pitt, il suo stuntman tuttofare. «Siamo della stessa generazione e abbiamo fatto la stessa carriera, sul set ci siamo conosciuti meglio, è nato un sodalizio artistico e un'amicizia» racconta Leo. «In fondo rappresentiamo degli archetipi, i nostri personaggi sono testimoni di un'epoca di passaggio, hanno visto morire la vecchia Hollywood e cercano con difficoltà di trovare un posto nella nuova industria dell'audiovisivo». Leo non nega di essersi identificato nel ruolo: «Sono cresciuto nel mondo del cinema e l'ho visto cambiare sotto i miei occhi. Conosco molta gente come Rick Dalton, amici attori che lottano per ottenere una parte e restare a galla. Io sono stato fortunato ad avere grandi opportunità». «Per me i due protagonisti sono complementari, rappresentano le due facce di una stessa medaglia», gli fa eco Brad. «Rick ha paura di perdere il successo e si deprime, il mio Cliff Booth, invece, ha accettato di vivere ai margini dello showbusiness e di prendersi quello che la vita gli offre».

Nel film, accanto a Margot Robbie luminosa nei panni di Sharon Tate, compare un somigliantissimo Polanski in marsina e merletti come nella celebre foto del loro matrimonio. Tarantino l'ha mai incontrato? «L'ho visto due volte, considero lui uno dei più grandi registi viventi e il suo Rosemary's Baby un vero capolavoro. Se gli ho parlato del film? No, non l'ho fatto».

Per ricreare lo Spahn Ranch, dove la comunità hippie si era installata tenendo in ostaggio il vecchio proprietario, ha pescato tra i suoi ricordi di bambino: «Credo che mi ci portarono i miei genitori per una passeggiata a cavallo nei canyon. I membri della Family erano molto affabili con i clienti, sapevano tenere gli animali, ho voluto mostrarli nella loro vita quotidiana». E in quell'apparente idillio bucolico piomba Cliff-Brad Pitt, smascherando la vera natura della setta: «L'assassinio di Sharon Tate, che era in attesa di un bambino, e dei suoi amici rappresenta in maniera tragica la fine dell'innocenza di Hollywood». Ha fatto un film nostalgico, Tarantino? Avrebbe prefertito lavorare in quell'epoca? «Preferisco ogni epoca antecedente all'arrivo dei telefoni cellulari». Risate. L'omaggio agli spaghetti western lo riporta all'ammirazione per il cinema italiano e per Corbucci, «un grande maestro che mi ha ispirato per Django Unchained». L'amicizia virile, aggiunge, resta «il battito del cuore della storia» di «C'era una volta... a Hollywood». «Questo film è una dichiarazione d'amore al cinema» conclude DiCaprio, «un modo per ringraziare gli attori e i registi che l'hanno fatto grande. Per noi tutti è stato come tornare a casa».
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