Due anni fa, nell'aprile 2021, era apparso chiaro a tutta la troupe che Bruce Willis stava molto male: era sul set di White Elephant, uno dei numerosissimi film d’azione nei quali è apparso negli ultimi anni (26 titoli in 5 anni, un paio di milioni di dollari per qualche giorno di lavoro, generalmente non più di due) e non riusciva a ripetere le battute tanto che un assistente gli leggeva le battute nell’auricolare. Erano i primi segni della demenza frontotemporale, la patologia neurodegenerativa che ha costretto l'attore al ritiro dalle scene. Ma prima di questa decisione - per cui sembra sia stata fondamentale la famiglia - Bruce ha continuato a lavorare e chi stava attorno a lui a fare finta di niente. Anche se i segnali c'erano tutti.
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Gli auricolari
Senza gli auricolari Willis infatti non riusciva a lavorare.
Sul set era una marionetta
Sul set di Out of Death al regista Mike Burns viene detto senza complimenti che era necessario comprimere tutte le scene di Willis — circa 25 pagine di dialoghi, una cifra enorme, equivalente a venti minuti di film — in un solo giorno di riprese, con un massimo di otto ore di lavoro come da contratto. L’anno dopo a Burns propongono un altro film con Willis: i collaboratori del divo gli dicono «sta molto meglio, è un’altra persona». In realtà era peggiorato ulteriormente. L’hanno portato alle Hawaii per girare Paradise City al fianco di John Travolta e per ricostruire la coppia magica di Pulp Fiction , nel 1994, secoli fa, ma Willis era sempre più disorientato. Come ha detto di recente al Los Angeles Times un membro della troupe, «era solo una marionetta».
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