Palma d'Oro a Parasite, Cannes perdona il regista ribelle. Banderas migliore attore

Palma d'Oro a Parasite, Cannes perdona il regista ribelle
Palma d'Oro a Parasite, Cannes perdona il regista ribelle
di Ilaria Ravarino
Sabato 25 Maggio 2019, 21:01 - Ultimo agg. 21:10
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Una vittoria a suo modo storica, quella del coreano Bong Joon-ho, che con la sua storia di fanta-crudeltà Parasite - violentissima e allucinata - ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Un film che ha subito conquistato la critica (uscirà in Italia con Academy Two), e che riporta simbolicamente nell’ovile il regista “ribelle” che nel 2017 a Cannes con il suo Okia, prodotto e subito distribuito da Netflix nonostante le proteste degli esercenti francesi, causò la storica cacciata del gigante dello streaming dal concorso. “Non immaginavo di vincere, non mi sono preparato il discorso - ha detto ieri Joon-ho, ritirando la Palma assegnata “all’unanimità”, secondo il presidente di giuria Alejandro González Inarritu, dalle mani di Catherine Deneuve - è un onore per me, che sono cresciuto ispirandomi al cinema francese e ai film di Claude Chabrol”. Ironia della sorte, il regista coreano “strappa” quest’anno la palma al favorito Pedro Almodóvar, che nel 2017 - da presidente di giuria - si schierò a Cannes contro i ribelli di Netflix in difesa della sala come destinazione primaria dei film del concorso. 

Al bel film di Almodovar, Dolor y Gloria, resta comunque la soddisfazione del premio, annunciatissimo, ad Antonio Banderas come miglior attore: “Il mio personaggio nel film, non è un segreto, è Pedro Almodóvar - ha detto Banderas - L’ho incontrato 40 anni fa, è il mio mentore, mi ha dato tutto. Abbiamo sofferto tanto insieme, perché dietro al lavoro di un artista c’è tanto dolore. Ma stasera è la mia serata di gloria. E il meglio deve ancora venire”. E se il premio alla migliore attrice, andato a Emily Beecham per Little Joe, ha riscosso gli applausi convinti della sala, qualche perplessità l’ha sollevata il riconoscimento alla regia andato ai fratelli Dardenne per Le Jeune Ahmed, “un’ode alla vita e alle differenze nonostante populismi e fanatismi”, impeccabile politicamente ma anacronistico artisticamente.

Soprattutto alla luce dell’esclusione dal Palmares di Quentin Tarantino con C’era una volta... a Hollywood, fuori anche dall’ex aequo del premio della giuria, annunciato da Michael Moore e andato a Les Miserables di Ladj Ly (“Dedicato a tutti i miserabili di Francia”, in Italia con Lucky Red) e Bacurau di Kleber Mendonca Filho e Juliano Dormelles. Storico il grand prix andato ad Atlantique di Matti Diop, prima regista afroamericana a partecipare a Cannes, atteso quello alla sceneggiatura, conquistato da un’altra donna, Céline Sciamma, con Lady on Fire (nel cast anche Valeria Golino, da noi in sala con Lucky Red).

Italia a mani vuote con Marco Bellocchio che, con Il Traditore, torna a casa senza premi - nemmeno quello, su cui era cresciuta una certa aspettativa, a Pierfranvesco Favino come miglior attore. Delusione anche per Ken Loach e il suo Sorry we'll miss you, ignorato dal Palmares.

Premio Camera d’or al miglior esordio, “per la poesia e il coraggio” a Nuestras Madres di César Diaz dalla settimana della critica, menzione speciale a Elia Suleiman con il suo ironico It Must be Heaven, presto in Italia con Academy Two.

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