Cannes, Sorrentino a Bellocchio: «Premio al più giovane»

Cannes, Sorrentino a Bellocchio: «Premio al più giovane»
di Titta Fiore
Domenica 18 Luglio 2021, 08:55
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Cannes

Nei momenti più gioiosi della Palma d'onore Marco Bellocchio ha avuto accanto due supporter d'eccezione: Paolo Sorrentino, che gli ha consegnato il prestigioso riconoscimento, e in platea a spellarsi le mani Pierfrancesco Favino, che è stato Tommaso Buscetta nel film «Il traditore».

«Bellocchio è tutto quello che un regista dovrebbe essere: appartato, discreto, lontano dall'egocentrismo, curioso dell'altro» ha detto il regista napoletano sul palco. «Confesso che resterei ore a fissare la sua vitalità da ragazzo, il suo candore, la sua padronanza di un umorismo solo in apparenza involontario. Ma, soprattutto, quello che mi rende curioso in maniera morbosa nei suoi confronti è la sua sotterranea inquietudine. Fare grande cinema è il risultato di una lunga guerra che un autore ingaggia con se stesso. Oggi la Palma d'oro onoraria va al più importante e giovane regista che abbiamo in Italia».

Tutt'e due, Sorrentino e Favino, l'altra sera erano presenti alla trionfale proiezione di «Marx può aspettare», il potente docufilm del maestro di Bobbio dedicato a suo fratello gemello morto suicida nel Sessantotto, e poi alla cena di gala e al party su una terrazza con vista sul porto. Tutt'e due sono contentissimi di esserci. Sorrentino: «Per me l'invito a consegnargli il premio è un privilegio. Ammiro molto il cinema di Bellocchio e mi riconosco nel suo perenne sentimento di insoddisfazione che diventa una spinta a lavorare, ad andare avanti». Favino: «Io sono venuto per la gioia di festeggiare Marco, sono la sua groupie. Gli sono enormemente grato da spettatore e da attore, ho avuto la fortuna di vederlo lavorare ed è davvero un faro, è raro incontrare una persona così aderente a se stessa e così calata nel mondo che lo circonda».
«Marx può aspettare» è piaciuto molto sia all'uno che all'altro.

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«Per me è un vero capolavoro» spiega in più d'una occasione il regista de «La grande bellezza», «veniamo da un anno complicato, in cui non è stato facile ricongiungersi con il cinema, poi all'improvviso arriva una storia come questa, importantissima, sincera, perfino brutale nella forza di mettersi in gioco. È solo dei grandi autori saper ammettere con tanta sobrietà e dignità i propri limiti e le proprie mancanze».

E Favino aggiunge: «Marco ha una libertà assoluta nella ricerca del senso e una capacità unica di farlo, non curandosi quasi degli esiti. Sono convinto che da qualche tempo abbia iniziato una nuova fase della sua carriera, Marx può aspettare è un bellissimo tassello del nuovo percorso». Per volare a Cannes l'attore ha profittato di una pausa nelle riprese del film di Francesca Archibugi «Il colibrì», ispirato al romanzo premio Strega di Sandro Veronesi (nel cast anche Nanni Moretti e Kasia Smutniak). Subito dopo comincerà a girare a Napoli, con la regia di Mario Martone, «Nostalgia», tratto dal romanzo di Ermanno Rea e ambientato nel rione Sanità. Sorrentino, invece, ha pronto «È stata la mano di Dio», il suo film «più intimo e personale» sugli anni della giovinezza napoletana segnata da passioni (come quella per il Napoli di Maradona e per il cinema), scoperte e eventi tragici, che potrebbe andare alla Mostra di Venezia.

Qual è la lezione più importante del cinema di Bellocchio, per i due artisti? Il premio Oscar Sorrentino, che dei suoi film ha molto amato «L'ora di religione» e «Buongiorno, notte», dice di ammirarne soprattutto la coerenza, una dote difficile da mantenere intatta nel tempo: «La cosa che affettuosamente gli invidio di più è la longevità artistica, l'entusiasmo a voler stare ancora sul set con grande coinvolgimento. Un atteggiamento niente affatto scontato». E in effetti Bellocchio, magnifico ottantenne, non si risparmia. Ora sta portando a termine una serie sull'assassinio di Moro che s'intitola «Esterno, notte» e prevede un episodio per ciascuno dei protagonisti di quel drammatico periodo che segnò la storia della Repubblica, poi comincerà le riprese del film sul rapimento Mortara, un caso su cui aveva lavorato a lungo anche Spielberg. Per Favino il segreto di tanta vitalità è uno solo: «Bellocchio non si celebra, è uno dei pochi registi che non smania per raccontare di sé e del suo cinema, ha una straordinaria, encomiabile mancanza d'interesse per questo aspetto. Lui, piuttosto, si occupa del mondo. È un grande».
 

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