Carlo Verdone a Vanity fair: «La mia vita non è stata una passeggiata. Per il lavoro ho sacrificato amici e rapporti umani»

Carlo Verdone intervista Malcom Pagani per Vanity fair
Carlo Verdone intervista Malcom Pagani per Vanity fair
Martedì 28 Gennaio 2020, 18:47 - Ultimo agg. 19:13
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«Sotto tanti aspetti, un uomo molto fortunato. È successo tutto quello che sognavo potesse succedere. Però poi se rifletto, non è vero che non abbia avuto momenti di grande difficoltà». Si racconta così Carlo Verdone, protagonista della cover di Vanity Fair in edicola dal 29 gennaio, nell’intervista rilasciata al vicedirettore Malcom Pagani.

«Quando mia madre si è ammalata di una sindrome neurologica rara e spietata per me furono quattro anni di merda. Era la persona a cui volevo più bene al mondo, la vedevo sfiorire e il solo guardarla mi faceva disperare. Era arrivata a pesare 39 chili. Con la tristezza e il cuore rotto, dovevo continuare a far ridere e la scissione era brutale. Durante il giorno giravo Acqua e sapone e al tramonto tornavo da lei. Nuotare tra Natasha Hovey, la Sora Lella, Padre Spinetti e il dolore reale fu un’esperienza tremenda. Stavo perdendo mia madre e mi ricordo che faticavo a perdonarmi perché desideravo morisse il prima possibile. Non si poteva vedere una persona ridotta così. Non si poteva accettare di sapere che soffrisse così tanto».

Tra i momenti tristi ricorda anche la separazione dalla moglie Gianna Scarpelli: «Il giorno in cui io e Gianna andammo in tribunale per le pratiche mi presentai senza legale. Il giudice era sconvolto: “Ma lei non ha un avvocato?”. Implicitamente mi stava dicendo: “Guardi che sua moglie vincerà su tutta la linea”. Lo anticipai: “Decida lei, per me non è cambiato niente”. Fu brutto, ma Gianna si dimostrò speciale. Accettai ogni decisione senza fiatare e poi alla fine della liturgia lei si avvicinò: “Che fai quest’estate? Parti? Hai programmi?”. Allargai le braccia. “Cosa vuoi che faccia?”. “Io vado in Sardegna con i bambini, se non hai niente da fare vieni, loro saranno contenti”. Aveva già prenotato una stanza perché sapeva che le avrei detto di sì. Fu una cosa molto bella». 

Carlo Verdone è nato a Roma il 17 novembre 1950 e nella sua lunga carriera, cominciata come assistente alla regia all’inizio degli anni ’70, ha interpretato come nessuno manie e nevrosi degli italiani. Quello che ha dato al pubblico lo ha però sottratto alla vita privata: « […] l’ho sottratto anche ai miei amici. Si vive una volta sola è una storia di amicizia e quando mi sono trovato a scrivere con Giovanni Veronesi ho pensato soprattutto a loro. Agli amici perduti. Ai rapporti che quando avevo vent’anni credevo fossero indissolubili. Eterni. L’amicizia era veramente importante. Condividevamo le stesse passioni: lo studio, il cineclub, la musica, le cantine umide in cui recitare. Eravamo un gruppetto di 6 o 7 persone e non facevamo altro che stare insieme. A volte qualcuno si fidanzava con la compagna di quello con il quale il rapporto era ormai logoro. Ma non c’era né gelosia né rabbia. Dicevi: “Vabbè, m’è andata male, però se è felice con lui va bene così”».
 



L’intervista è un percorso negli amori, i dolori, le gioie, le sorprese e l’ironia di un autore che ha divertito il pubblico mettendo a nudo l’anima e i vizi più profondi degli italiani. Con Si vive una volta sola, torna a farlo nei panni di un medico. Distribuito da Filmauro dal 26 febbraio, il film, girato tutto in Puglia, è la ventisettesima opera di Carlo Verdone. Nel cast, oltre all’attore e regista romano, Anna Foglietta, Rocco Papaleo e Max Tortora. Tutti medici: «Eccellenti in sala operatoria», dice Verdone, «quanto miserabili nella vita».

Infine, parlando di film, sull’ultimo di Checco Zalone Tolo Tolo dice: «Ha fatto un tentativo: alcune cose funzionano, altre meno. Ma anche se da spettatore posso criticare, apprezzo lo sforzo, il coraggio e l’intenzione di fare qualcosa di lontano dai suoi precedenti. In fin dei conti pur essendo due persone completamente diverse e pur essendo la sua comicità molto lontana dalla mia, capisco le mille tensioni che ha avuto. Lo rispetto. Non è certo uno sciocco. Ha rischiato sapendo di rischiare».

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