Carolina Rosi racconta: «Quell'avventura con Delon e la furia di mio padre sul set»

Carolina Rosi racconta: «Quell'avventura con Delon e la furia di mio padre sul set»
di Maria Chiara Aulisio
Venerdì 19 Marzo 2021, 10:03
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Una storia d'amore infinita. Una sintonia quasi perfetta, un'intesa di testa e di cuore che ha unito indissolubilmente - in casa e anche sul set - il padre con la figlia. Lui è Francesco Rosi, il regista, lei è Carolina, l'attrice, bella e solare. Sulle spalle una straordinaria eredità, culturale e sentimentale, che le hanno lasciato i due grandi uomini della sua vita, scomparsi nello stesso anno, il 2015, a distanza di pochi mesi uno dall'altro. Prima il padre e poi il marito, Luca De Filippo. Un vuoto enorme all'improvviso, una voragine affettiva che Carolina ogni giorno prova a colmare, senza riuscirci mai fino in fondo, nonostante l'allegria e l'ottimismo che ha da vendere.


Carolina, parliamo di Franco.
«Quello che sono lo devo soprattutto a lui. Anche a mia madre, ci mancherebbe, ma con papà era diverso».


In che senso?
«Si condivideva tutto. Il nostro era un dialogo costante. Parlavamo di cinema, teatro, arte, politica, questioni familiari, le mie vicende sentimentali naturalmente. Ricordo intere giornate passate insieme a girare per mostre, chiese, musei. A volte ci sentivamo al telefono anche quattro, cinque volte di seguito».


Quanto era geloso di sua figlia, Franco Rosi?
«Più che geloso direi protettivo. Aveva una sola preoccupazione, quella delle delusioni che avrebbero potuto ferirmi. Il resto gli importava poco, bastava che fossi felice e andava bene anche a lui».


Un rapporto padre figlia sereno, insomma.
«Perfetto. Solo una volta abbiamo litigato sul serio. Passammo due mesi senza parlarci, mai successo in vita nostra».


Per quale ragione litigaste?
«Eravamo in Colombia, tra il villaggio di Mompos e Cartagena. Rimanemmo lì diversi mesi: mio padre girava Cronaca di una morte annunciata con Gian Maria Volonté, Ornella Muti, Rupert Everett, Anthony Delon».


Cast straordinario.
«Ecco, appunto. Avevo 18 anni, il contesto era fantastico, l'atmosfera pure, e poi la grande emozione di muovere i primi passi nel mondo del cinema. Per farvela breve nacque una storia con Anthony Delon».


Bello, dannato e ribelle come il padre, almeno a dar retta ai rotocalchi.
«Proprio questa era la preoccupazione di Franco. Si oppose fino all'ultimo, mi fece un ostruzionismo pazzesco. Era convinto che la storia non sarebbe durata e io ne avrei sofferto».


Quindi?
«Quando gli comunicai che, a fine riprese, dalla Colombia avrei seguito Anthony a Parigi, si infuriò e mi rispedì subito in Italia».


Niente più Parigi?
«Non ci avrei mai rinunciato. Tornai a Roma, feci le valige, sotto lo sguardo piuttosto turbato di mamma, raccolsi i gioiellini della prima comunione, pronta a venderli se avessi avuto bisogno di soldi, e mi imbarcai sul primo volo per Parigi».


E suo padre?
«Smise di cercarmi.

Comunicazioni interrotte».


Veniamo al punto. La storia d'amore con Delon come andò a finire?
«Esattamente come mi aspettavo: si concluse dopo poco».


Allora aveva ragione suo padre?
«Certo, ma lo sapevo bene pure io. Non c'era alcuna aspettativa da parte mia, e però nemmeno intendevo rinunciare a una liaison che invece mi piaceva. Alla fine me ne tornai a casa tranquilla e per nulla sofferente».


E così vi riconciliaste.
«Subito. Papà era un uomo dolcissimo. La mattina veniva a svegliarmi con una rosa che coglieva in terrazzo: buongiorno amore mi diceva, e poi baci e carezze. Anche i fiori in camerino, dopo una prima a teatro, li ricevevo sempre da lui».


Non da Luca, suo marito?
«I fiori no, non li mandava mai ma era ugualmente un uomo molto amorevole. Erano altri i gesti con i quali mi dimostrava i suoi sentimenti».


Francesco Rosi e Luca De Filippo, suocero e genero. Che rapporto c'era tra loro?
«Fu Luca il primo a dire che era un peccato che papà non lavorasse più. Così gli affidò la regia a teatro di Napoli milionaria. È come se avessi incontrato un padre, mi disse una volta. E poi Franco, ancora me lo ricordo, fu l'unico a scoprirci nella clandestinità: una sera ci vide a tavola e disse: Siete pazzi l'uno dell'altra».


Quindi era favorevole al vostro rapporto?
«Non contrastò mai la storia, anzi. In ogni caso mi metteva in guardia lo stesso: attenta, ci sono vent'anni di differenza, due mogli, tre figli...».


Le vostre nozze dopo una ventina di anni di convivenza. Come mai?
«Un po' lo abbiamo fatto anche per lui. Quando mio padre iniziò a capire che non aveva più troppo tempo davanti a sè mi resi conto che ci teneva ad affidarmi: sapeva che Luca mi avrebbe protetto e questo lo faceva stare più tranquillo. Pochi mesi dopo, invece, se n'è andato pure Luca».


Una grande intesa tra padre e marito, insomma.
«C'è un episodio che mi piace raccontare per spiegare quanto affetto ci fosse tra loro, e riguarda Maria, la nostra storica tata».


Prego.
«Dopo la morte di papà, Maria si trasferì a vivere con noi. Sia Luca che Franco avevano l'abitudine di indossare in casa dei kimoni di cotone che gli regalava zia Mariuccia (la stilista Krizia, ndr). Una mattina, insolitamente, trovai Luca che faceva colazione in jeans e maglietta: Luca, che fai vestito così? Il kimono? E lui, guardando Maria con grande tenerezza, mi rispose: Ora non lo posso indossare più, le ricorderei troppo tuo padre. E allora ci rinuncio».

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