«Nel caso Weinstein da giornaliste-madri contro la violenza sessuale»

A gennaio il film nelle sale italiane

«Nel caso Weinstein da giornaliste-madri contro la violenza sessuale»
di Francesca Scorcucchi
Giovedì 29 Dicembre 2022, 08:18 - Ultimo agg. 18:11
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«Harvey Weinstein ha pagato per decenni chi lo accusava di violenze sessuali». Con questo titolo il «New York Times» pubblicava, il 5 ottobre 2017, un lungo articolo a doppia firma: Jodi Kantor e Megan Twohey. Era il primo di una lunga serie che avrebbe portato il produttore hollywoodiano in carcere per violenza sessuale e avrebbe dato inizio al movimento Metoo. Quattro anni dopo Carey Mulligan e Zoe Kazan si sono ritrovate a recitare dentro i veri spazi della redazione del «New York Times», svuotati dalla pandemia, nei panni delle due giornaliste che diedero via all'evento che sconvolse Hollywood.

«Era surreale», ricorda Carey Mulligan, che interpreta Megan Twohey in «She Said, Anche io», in Italia nelle sale dal 13 gennaio, diretto da Maria Schrader: «Quegli enormi spazi erano deserti, i veri giornalisti lavoravano tutti da casa.

Sulle loro scrivanie c'erano ancora i giornali del 13 marzo 2020 È stato come entrare in un posto dove tutti erano stati rapiti. C'erano merendine non finite, persino un paio di scarpe sotto una scrivania». «Mandai un video della stanza vuota alla vera Jodi», rilancia Zoe Kazan che interpreta Jodi Kantor: «Ecco la tua redazione, le manchi».

Le due attrici conoscevano la storia delle indagini giornalistiche che portarono a quell'epilogo. E avevano studiato le storie, professionali e personali delle due donne che diedero vita a quell'inchiesta. Partendo dal libro sulla vicenda, scritto dalle due, «che però non vedeva le due autrici come protagoniste», continua la Kazan, «era più che altro il racconto delle indagini che portarono allo scoop».

La Schrader e la sceneggiatrice Rebecca Lenkiewicz volevano raccontare una storia più personale, la storia di due giovani donne guidate dalla passione per la propria professione e decise a far conoscere al pubblico una storia brutale. Due giovani donne che dovevano dividere il proprio tempo fra gli impegni professionali e la crescita dei figli: «Megan Twohey, che pochi anni prima aveva denunciato per abusi sessuali l'allora candidato alla Casa Bianca Donald Trump, stava uscendo da una depressione post-parto quando iniziò ad affiancare la collega Jodi Kantor nelle indagini su Weinstein», racconta la regista.

Per raccontare una storia così serviva un cast al femminile, diretto da una donna, con un copione scritto da una donna. Diversamente il film sarebbe stata solo una nuova versione di «Tutti gli uomini del presidente» o di «Il caso Spotlight»: «I film a base di testosterone prima del MeToo non si facevano domande su questioni triviali come la preparazione del pranzo per la famiglia o l'accompagnamento dei figli all'asilo», racconta la Mulligan, «ma sono questioni di cui una famiglia si deve occupare, non importa quale sia la professione dei genitori. È stato giusto parlarne in un film come questo». Come la giornalista che interpreta, anche Carey ha dovuto affrontare una depressione post-parto dopo la nascita della figlia, nel 2015. «È stato uno dei primi argomenti che abbiamo affrontato, la vera Megan ed io. Mi ha raccontato che quelle indagini su Weinstein furono per lei una sorta di solida maniglia a cui aggrapparsi per uscire dalla depressione».

L'articolo che scaturì da quelle indagini riportava le dichiarazioni della prima vittima di Weinstein che decise di parlare, la diva Ashley Judd. A lei si unirono in seguito Angelina Jolie, Gwyneth Paltrow, Rosanna Arquette e molte altre, all'epoca dei fatti, giovani aspiranti attrici. Il metodo era sempre lo stesso, che la vittima fosse famosa o meno: Weinstein, con la scusa di un colloquio di lavoro le invitava in una camera d'albergo dove si faceva trovare in accappatoio. Poi chiedeva massaggi e prestazioni sessuali in cambio di una promessa professionale. Ogni possibile ripercussione penale nei confronti di chi tentava di sporgere denuncia veniva poi scongiurata con un'offerta di denaro previa firma di un contratto che condannava al silenzio.

Le indagini di Jodi Kantor e Megan Twohey, insieme a quelle parallele di Ronan Farrow («The New Yorker») innescarono la valanga che avrebbe portato Harvey Weinstein ad una prima condanna a 23 anni di carcere e Hollywood a cambiare radicalmente il suo approccio di fronte alla questione femminile.

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