Castellitto e la mancata candidatura all’Oscar: «Non sono deluso, in Italia c’è chi considera il successo una colpa»

Castellitto e la mancata candidatura all’Oscar: «Non sono deluso, in Italia c’è chi considera il successo una colpa»
di Titta Fiore
Domenica 1 Ottobre 2017, 16:21 - Ultimo agg. 28 Novembre, 15:24
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Sergio Castellitto sta girando in Puglia, tra Polignano e Monopoli, la commedia «Ricchi di fantasia» con Sabrina Ferilli. Dice ridendo: «Siamo una coppia cinematografica inedita, tipo Alberto Sordi-Monica Vitti, ma rivisitata». Italiani brava gente? «Italiani tipici, due poveracci dignitosi come sanno esserlo solo i poveri in certi casi». In una pausa delle riprese ha voluto accompagnare al Napoli Film Festival il suo ultimo lavoro da regista, «Fortunata», grande successo a Cannes e premio per Jasmine Trinca al Certain Regard. Il soggetto è di sua sua moglie, la scrittrice Margaret Mazzantini, l’accoppiata è stata come sempre vincente. Ieri sera la sala dell’Hart era sold out: «C’è un affetto profondo da parte del pubblico per questo film, incontrare chi ti racconta l’emozione provata per la storia di Fortunata è un premio vero».
 

 

A proposito di premi, «Fortunata» era tra i candidati a rappresentare l’Italia agli Oscar, poi dopo un serrato testa a testa, la scelta è caduta su «A Ciambra» di Carpignano. Sarà inevitabilmente deluso... «Premetto che non ho visto “A Ciambra”, che sarà sicuramente un bel film, ma in Italia ha avuto una breve diffusione, mi è capitato di vedere un’intervista del regista e mi è sembrato intelligente e spiritoso. Ma per quello che mi riguarda non sono per niente deluso perché me lo aspettavo... al di là dei meriti. Il cinema italiano è da molto tempo diviso tra due modi di intendere il nostro lavoro: quello in cui mi riconosco io va verso un cinema popolare che però non rinuncia alla qualità e all’intensità del racconto, un cinema che tenta di farsi pedagogico senza intenzioni preconcette, ideologie, teoremi... un modo di intendere il cinema, questo, che ha bisogno del pubblico come unico referente “intelligente”. C’è poi una visione del tutto diversa che punisce la libertà del racconto, che considera quasi deprecabile il successo popolare di un film, che non intende tenere conto che il cinema è, (quando lo è) poesia che costa molti soldi. Una visione, questa, che soprattutto si fonda su un profondo disprezzo del pubblico. E quindi preferisce rivolgersi a un milieu, una critica più o meno militante, una consorteria culturale...».
 

Il cinema di oggi sa raccontare l’Italia, secondo lei?
«Molto relativamente e lo fa soprattutto con uno sguardo documentaristico. È come se avessimo rinunciato a una visione drammaturgica diversa, capace di trasfigurare la realtà in simbolo. Certe volte un servizio di “Report” diventa più emozionante di un film. Io, invece, ho fatto lo sforzo di trasformare la realtà in narrazione drammaturgica, che non la nega, ma dà dignità agli ultimi e al loro desiderio di vivere in un mondo di colori».

Alla Mostra di Venezia il cinema napoletano ha dimostrato una vivacità e una ricchezza di proposte fuori del comune: lei che è stato protagonista di molti film e fiction ambientati a Napoli, come legge il fenomeno?
«Non mi sorprende, Napoli è sempre stata un laboratorio sociologico, politico e artistico di prim’ordine, è un set naturale, accendi la cinepresa e filmi, come diceva Troisi, è il luogo della bellezza e della disfatta, della speranza e della delusione. E tutti questi temi vogliono essere raccontati. Per la fiction “’O professore” girammo nel cuore della Sanità, ora sono tornato per un paio di settimane con il tv movie sul giudice Rocco Chinnici, un uomo con la schiena diritta che amava lavorare in silenzio».

Com’è cambiata Napoli, tra un set e l’altro?
«Ho avuto la sensazione di una città piena di un’energia formidabile, capace di rilanciare oltre la solita immagine gomorrista. Saviano ha scritto un libro meraviglioso, ma non può esserci solo una lettura a senso unico. A Napoli ci sono eccellenze in ogni campo. Purtroppo l’eccessiva attenzione su quel mondo borderline distoglie da altri temi, ed è un peccato. Mio figlio Cesare, di 11 anni, è incantato da Napoli, ogni volta va in tour nel centro storico».

Quanto pesano gli stereotipi sull’immaginario napoletano?
«Nella narrazione della città c’è un “prima” e un “dopo” Gomorra, non c’è dubbio, e questo ha sparigliato tutto nel bene e nel male. Quanto alla commedia, spesso si appoggia troppo sulla ginnastica da film comico, senza fare il necessario salto drammaturgico. Però i linguaggi sono tanti quanti gli sguardi degli autori. Con Terracciano, ricordo, girammo un film sorprendente, silenzioso e poetico, “Tris di donne e abiti nuziali”, sembrava di stare a Vienna con il mare davanti».

Il direttore della Mostra, Barbera, sostiene che in Italia il cinema si è regionalizzato, con Napoli capofila di questo processo industriale.
«Molto bene, tutto si traduce in posti di lavoro e occasioni per i giovani. Il cinema è ancora modernissimo, anche se andare al cinema è diventato un gesto archeologico. La velocità del progresso tecnologico gli sta togliendo un po’ di fascino artigianale, ma per quelli come me farlo resta un grande, fantastico privilegio».

E allora la sua prossima regia quale sarà?
«Non lo so, per ora mi riposo facendo l’attore in tre film.
Ma sul set non rinuncio a dire la mia».

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