Il regista lirico Michieletto: «Dai teatri a Hollywood, porto Puccini al cinema»

Il regista veneziano Damiano Michieletto
Il regista veneziano Damiano Michieletto
di Simona Antonucci
Venerdì 8 Gennaio 2021, 21:19 - Ultimo agg. 10 Gennaio, 13:37
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La lirica trasloca. Assediata della pandemia, abbandona i palchi deserti, si toglie la mascherina e alza la voce davanti alle cineprese. Portando sotto i riflettori personaggi in cerca di un autore che ascolti le loro incantevoli storie. A raccogliere acuti e arie d’avanguardia il regista Damiano Michieletto, veneziano, 45 anni, che vanta una collaudata e celebrata storia d’amore con il teatro musicale (e una passione per il musical).

E i produttori della Genoma di Paolo Rossi Pisu, imprenditore, e Cinzia Salvioli, a lungo nel mondo della lirica, che in quattro anni di attività hanno firmato operazioni che incrementano dialoghi tra novità e tradizione nel segno dell’eccellenza italiana, come il restauro di Pasqualino Settebellezze della Wertmuller, il lungometraggio Est, fuori concorso a Venezia, con Lodo Guenzi frontman di Lo Stato Sociale, la candidatura della stella per Pavarotti sulla Walk of Fame e ora questo progetto innovativo che troverà un suo momento di gloria anche a Los Angeles durante la cerimonia in onore di Big Luciano: un film che ha un libretto per sceneggiatura e uno spartito glorioso come colonna sonora.

SPIELBERG

Alla vigilia dell’uscita del West Side Story di Spielberg, un musical italiano, con le radici nella tradizione del melodramma che “esportiamo” da secoli. «Gianni Schicchi di Puccini sarà un’opera cinematografica.

A differenza di tanti altri lavori nati in ambito teatrale, il nostro si è liberato da quel mondo», spiega Michieletto.

SET

Set a maggio in Toscana, ville con piscina, studi notarili, conventi di frati, salotti di collezionisti d’arte, intrighi alla Agatha Christie e humour alla Monicelli. «L’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma diretta dal Maestro Stefano Montanari registrerà “la base” sui cui, dal vivo, un cast tutto italiano interpreterà questo film, opera, musical», aggiunge il regista. Con un morituro e ricco mercante Buoso Donati che lascia la sua fortuna a un convento di frati, Gianni Schicchi, chiamato dalla famiglia diseredata a “correggere” il testamento, sua figlia Lauretta (Michieletto la presenta incinta) che si aspetta dal padre (O mio babbino caro...) un aiutino per ricucire il suo amore e tutta la compagnia di zii e cugini assetati di dote.

Quando è nato il “piano di fuga” della lirica?

«Le prove generali forse le abbiamo fatte sul palco del Rigoletto al Circo Massimo, dove abbiamo lavorato in diretta con una steadycam che proiettava la scena sul grande schermo. In uscita anche il film su Rigoletto, prodotto dal Teatro dell’Opera di Roma e Indigo, realizzato con il materiale girato questa estate. Ma lì, anche se l’allestimento era trattato in modo cinematografico, eravamo su un palco. Ora saremo su vari set con gli interpreti che canteranno live. Modulando interpretazione e voce al luogo, alla situazione, rendendo tutto totalmente credibile».

Rispetto ai film opera del passato, che cosa è diverso?

«La presa diretta. I cantanti, prima delle riprese, proveranno con direttore e orchestra all’Opera di Roma. Quindi con una base costruita insieme canteranno sul set. Senza bisogno di spingere come se ci fosse il pubblico in sala, ma modulando la voce alla situazione e alla dimensione del luogo. Senza playback, sarà molto impegnativo, ma è uno sforzo necessario per restituire verosimiglianza».

Puccini sarebbe contento?

«Puccini ha cominciato a comporre negli anni in cui nasceva il cinema. È proiettato verso quel mondo. E così Forzano: scrive un libretto che è una sceneggiatura. Sessanta minuti senza interruzioni che sembrano una fucilata. Il ritmo non si ferma, continua a girare come la pellicola. Avevo già affrontato Schicchi a Roma e a Vienna e mi è venuto naturale immaginare che potesse diventare un film, quasi un musical. Useremo coreografie e balletti, è una storia che ha una sua comicità e ho voluto contaminarla con un linguaggio brillante».

Un musical? Resterà fedele alla versione originale?

«Assolutamente. Un film a prova di melomane. Nessun taglio, nessuna variazione. Ma con una sorpresa. Ho scritto un prologo.un'introduzione  di pochi minuti, interpretata da un attore e non da un cantante, durante il quale Buoso Donati, poco prima di morire, fa valere le sue ragioni. In fondo è lui il vero protagonista. La storia si consuma a casa sua, i soldi sono i suoi, i parenti pure, e tutto sommato è più vivo che morto visto che medico, notaio e testimoni lo considerano ancora in vita. Schicchi, che secondo me, ingiustamente, si aggiudica il titolo all’opera, arriva a metà della storia. Quindi regalo cinque minuti da protagonista a Buoso, collezionista d’arte, ricco e senza figli, che prima di morire, si presenta, introduce troupe e cast e spiega come mai si gira un film su di lui».

Una morte misteriosa? O ci sarà un colpo di scena?

«Il mio Buoso muore ammazzato. Altro che morte naturale o malattie. Tutti i parenti serpenti, stanchi di aspettare, bramano che vada all’altro mondo. E ognuno di loro può essere il colpevole. Un complotto. Un giallo, con toni da commedia».

Si sta tracciando un nuovo percorso per la lirica?

«Non credo. Questo lavoro nasce grazie a Puccini, alla natura della sua composizione. È un’operazione molto divertente. Ma non sempre è possibile. Il teatro è un rito e non credo debba trasformarsi in altro. Mentre organizzo il piano delle riprese a maggio, sto lavorando a due opere di Janáček, a Berlino Jenůfa, e Katia Kabanová per Glyndebourne, un autore con straordinarie capacità musicali e narrativi. E mi auguro che i compositori contemporanei sappiano prendere spunto da lui per costruire il patrimonio di domani. Teatrale o cinematografico. Più che il genere conta la potenza dell’emozione». 

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