Morricone secondo Tornatore: «Il rigore e la dolcezza»

«Ennio» dal 17 febbraio nelle sale

Morricone secondo Tornatore: «Il rigore e la dolcezza»
di Titta Fiore
Giovedì 10 Febbraio 2022, 08:13 - Ultimo agg. 16:05
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Un romanzo cinematografico. Un grande affresco su un musicista geniale e sul suo tempo. Un viaggio nel talento sublime di un artista totale e nella cultura di un Paese lungo tutto il Novecento. «Ennio», il film documentario che Giuseppe Tornatore ha dedicato a Ennio Morricone, dal 17 febbraio nelle sale dopo una doppia anteprima a fine gennaio, distribuito da Lucky Red, è un'opera monumentale e definitiva, un meraviglioso omaggio di note e di immagini che parte dai ricordi dello stesso compositore per arricchirsi, via via, con le testimonianze di registi come Bernardo Bertolucci, Sergio Leone, Marco Bellocchio, Dario Argento, Giuliano Montaldo, i Taviani, Carlo Verdone, Roland Joffé, Oliver Stone, Quentin Tarantino, Barry Levinson; di musicisti come Goffredo Petrassi, Bruce Springsteen, Quincy Jones, Pat Metheny, Nicola Piovani. Un cast pazzesco. E poi studiosi, storici, esperti, e le sequenze dei più famosi tra i cinquecento film esaltati dalle sue colonne sonore, dalla «Trilogia del dollaro» a «Mission», da «Nuovo Cinema Paradiso» a «The Hateful Eight» che gli valse il secondo Oscar, nel 2016, dopo quello onorario alla carriera vinto nel 2007. Per non parlare degli aspetti meno noti della sua personalità, come la passione per gli scacchi, o il gusto della sperimentazione, e l'origine realistica di certe intuizioni musicali, così fuori standard, così profondamente sue. Dice Tornatore: «Ho lavorato a questo film sette anni e mezzo, i primi cinque ciclicamente, il resto a tempo pieno. È stato affascinante, ma anche faticoso».
 

Perché?
«Perché prima degli anni Settanta non ci sono tanti materiali su Ennio. In più, con la pandemia è stato particolarmente difficile avere accesso agli archivi. Dagli anni Ottanta in poi abbiamo trovato più cose. E io, navigando negli archivi dell'Istituto Luce, ho scoperto immagini inedite di Ennio bambino al Conservatorio di Santa Cecilia che neppure lui conosceva. Quando si è visto con la tromba di seconda mano che gli aveva comprato il padre per esercitarsi si è commosso e ha ricostruito tutto.

A novant'anni aveva una memoria prodigiosa».

La vostra è stata un'amicizia profonda. Che cosa ha scoperto di Morricone grazie a questo film?
«Ci siamo frequentati per più di trent'anni e mi ha raccontato molte cose. Sapevo già tanto. Direi che mi ha colpito vederlo dirigere sempre alla stessa maniera. Nel tempo aveva mantenuto lo sguardo e la timidezza degli esordi. Ennio non era un direttore teatrale, anzi, detestava il gesto spettacolare. Poi mi colpiva che raccontasse certi episodi della sua vita come se fossero fissati nella sua mente in uno schema: non c'era mai nulla di improvvisato nella narrazione di sé, così come nel suo modo di fare musica. In lui la corrispondenza tra semplicità e rigore era speciale. La sua durezza non incuteva mai timore e la sua dolcezza non era mai banale. Una miscela di rara potenza».

Il film parte con un metronomo e con Morricone che fa ginnastica nel salotto di casa.
«Tutti sapevamo della sua abitudine di fare all'alba un'ora di esercizi ginnici, ma in quell'abitudine ferrea c'era qualcosa di allegorico. Era la metafora del suo rigore e del suo lavoro da compositore sulla gestione del tempo».

Perché ha voluto riprenderlo mentre dirige nello studio vuoto?
«L'avevo visto esercitarsi dopo un intervento alla schiena e quell'immagine mi era rimasta in mente. Ennio provava in silenzio, la musica era tutta nella sua testa. E componeva così. In realtà non scriveva, trascriveva quello che aveva pensato. Mi diceva che comporre al piano era riduttivo, il suo strumento era l'orchestra».

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La dicotomia tra musica assoluta e sperimentazione lo ha accompagnato per tutta la vita, spesso tormentandolo.
«La sua vocazione era la musica classica, poi ha sentito la spinta a sperimentare, ha capito prima di altri che i due mondi dovevano convivere. I suoi pezzi musicali erano cavalli di Troia all'interno dei quali si nascondeva qualcos'altro: un arrangiamento di estrazione wagneriana, un rimando contrappuntistico. Alla fine, ha fatto un'operazione culturale di portata enorme: ha cercato di rendere la musica assoluta fruibile all'ascolto del grande pubblico e di avvicinare quest'ultimo alla musica colta».

L'ossatura del film è una lunga intervista al maestro.
«L'abbiamo realizzata in undici giorni. Lui si è lasciato andare e alla fine mi ha detto: Non avevo mai fatto psicanalisi, adesso ho capito com'è».
Morricone ha musicato quasi tutti i suoi film, qual è il suo preferito?
«Tutti meno il primo, Il camorrista, lì le musiche sono di Piovani. Quanto al preferito non saprei, in ognuno ci sono invenzioni straordinarie. Ma se proprio devo scegliere, dico La migliore offerta, perché a quella partitura Ennio era particolarmente affezionato, era orgoglioso di aver messo in pratica un modo di comporre per il cinema del tutto nuovo».

Com'era il vostro metodo di lavoro?
«Il rapporto ha avuto un'evoluzione continua, piano piano è cresciuta la simpatia. Alla fine eravamo quasi come padre e figlio. Collaboravamo in maniera costante, lui leggeva con grande attenzione le sceneggiature, buttava giù idee e ogni tanto questo lavoro produceva anche un film, ma non era automatico».

Ora «Ennio» arriva al cinema.
«Abbiamo sempre pensato che dovesse uscire nelle sale. Finché regge, lo terremo lì».

Quale sarà, secondo lei, il futuro delle sale, messe a dura prova dalla pandemia?
«Non mi pongo il problema. È impossibile che le sale muoiano. Quando questa emergenza finirà, torneranno a essere importanti nella nostra quotidianità, soprattutto se riusciranno ad andare al passo con i tempi e con le nuove tecnologie. Ma anche al netto di tutto questo, non spariranno. Io sono ostinatamente ottimista».

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