«Esterno notte», ​Toni Servillo è Paolo VI: «Il Papa tra responsabilità e misericordia»

«Esterno notte», Toni Servillo è Paolo VI: «Il Papa tra responsabilità e misericordia»
di Titta Fiore
Venerdì 4 Novembre 2022, 07:00 - Ultimo agg. 18:34
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Al pantheon dei tanti personaggi ispirati alla realtà interpretati con prodigiosa aderenza senza mai scadere nella replica mimetica, da Andreotti a Berlusconi al Pirandello campione d'incassi del film di Andò, «La stranezza», Toni Servillo ha aggiunto ora, per la serie «Esterno notte» di Marco Bellocchio, Paolo VI, il pontefice che cercò con tutta la forza del suo tormentato magistero di salvare Aldo Moro.

Su quali aspetti della sua personalità ha lavorato?
«Con Bellocchio eravamo interessati a rendere la complessità psicologica di un uomo che incarna un grande potere spirituale e temporale e si ritrova, come tutto il Paese, sotto shock per il rapimento.

Quindi doveva emergere la sua fragilità, moltiplicata dal rapporto personale con Moro, che considerava quasi come un figlio. Andava restituita una dimensione lirica del personaggio, diviso tra senso di responsabilità e misericordia. E, nello stesso tempo, dovevamo costruire una drammaturgia che tenesse conto della sua altezza intellettuale, del suo rigore alieno da gesti plateali».

Come ricorda quel periodo?
«Sono stati anni di piombo, e mai definizione purtroppo fu più appropriata, ma anche di grande vitalità civile, con il varo della legge Basaglia per l'abolizione dei manicomi, il referendum sul divorzio e tante altre conquiste sul piano dei diritti. Nel bene e nel male, anni meno anestetizzati dei nostri».

Dov'era quando rapirono Moro?
«Eravamo a Napoli, al teatro Spazio Libero di Vittorio Lucariello, a fare uno spettacolo. Uscimmo in strada, la città ci sembrò diversa. Bellocchio ha trasferito lo stesso impatto emotivo in tutti gli episodi della serie. In effetti dopo quella gigantesca tragedia personale, politica e sociale il Paese non è più stato uguale a prima».

Cosa può insegnare ai giovani questa serie?
«Mi auguro che sia vista da più persone possibili, di tutte le generazioni. Quanto ai giovani, attraverso le immagini di un film lungo sei ore, perché così può essere letto Esterno notte, i ragazzi che non hanno vissuto quell'epoca per motivi anagrafici hanno la possibilità di avvicinarsi a una pagina storica che, pur restando per molti versi un mistero, spiega tante cose accadute dopo quel dramma, e anche alcuni aspetti della contemporaneità. È un momento importante di servizio pubblico».

Oggi i giovani si misurano con i social più che con le ideologie.
«Non rimpiango le ideologie di una volta, semmai un'epoca in cui si lottava per un qualche ideale. Non avere riferimenti ideali consegna la società a un avvenire di consumatori».

Attualmente lei è nelle sale con un film, «La stranezza», che racconta un altro periodo storico, il Novecento della grande letteratura di Verga e Pirandello.
«Sì, il film affronta l'avventura creativa di uno di nostri geni nazionali alle prese con un capolavoro, Sei personaggi in cerca d'autore, unendo a un tema alto, che fa riflettere, un tono divertito e anche commovente. Il pubblico e la critica lo hanno accolto con grande favore, siamo contenti. Il cinema in sala attraversa un periodo difficile, non ci aspettavamo due milioni di incasso in sei giorni».

Come si è calato nei panni di Pirandello? Il regista Roberto Andò dice, a ragione, che è riuscito a replicare perfino la luce dello sguardo di certi ritratti del grande scrittore.
«Forse sarà che, frequentando i palcoscenici da quarant'anni, so cosa significa trepidare, sentire il cuore che batte prima di un'alzata di sipario, incontrare il favore o l'avversione del pubblico, e quello ho cercato di restituire. Insieme con la felicità, molto umana, di ritrovarsi nel grembo di una lingua materna e immerso nella dolcezza del paesaggio dell'infanzia. Andò ha immaginato un Pirandello lontano dai cliché, un uomo e non il monumento che ci descrivono i manuali».

Ieri sera a Sorrento ha ritirato un premio intitolato a Torquato Tasso e a gennaio la poesia sarà protagonista anche del suo nuovo spettacolo «Tre modi per non morire» in scena al Piccolo di Milano e al Bellini di Napoli.
«Si tratta di tre testi che Giuseppe Montesano ha scritto per me su Dante, Baudelaire, i lirici e tragici greci, su come hanno inventato la loro vita attraverso la poesia. Usciranno anche in volume editi da Giunti».

La poesia ci salva la vita?
«Può diventare il modo in cui dai forma alla tua esistenza e la rendi viva». 

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