Festival del cinema di Venezia, Hugh Jackman da supereroe a padre vulnerabile

Festival del cinema di Venezia, Hugh Jackman da supereroe a padre vulnerabile
di Titta Fiore
Giovedì 8 Settembre 2022, 10:00
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Padri vulnerabili, inadeguati di fronte al malessere dei figli. Madri intrappolate in un ruolo che rifiutano. La famiglia, con tutte le sue contraddizioni, è al centro dei film passati ieri in concorso. Hugh Jackman è il protagonista di «The Son», drammone ben costruito di Florian Zeller, il regista già premio Oscar per «The Father» con il monumentale sir Anthony Hopkins (anche qui in un cammeo che illumina tutto il film). Tratto da un testo teatrale, «The Son» racconta il malessere di un adolescente incapace di superare il divorzio dei genitori e la crisi esistenziale che li coinvolgerà, tutti e tre, fino al tragico epilogo. «Ho cercato questo ruolo, l'ho voluto con tutte le mie forze» dice il divo australiano, «mi ha messo il fuoco dentro». Perché? «Perché racconta la vita com'è, senza sconti. E nella vita siamo vulnerabili, uomini e donne. Quando ero ragazzo pensavo che crescendo avrei dovuto mostrarmi forte, costruirmi addosso una specie di corazza, oggi per fortuna non è più così. Zeller ci ha chiesto di non nascondere le nostre fragilità. Non abbiamo mai provato le scene, proprio per far emergere le emozioni con maggiore forza. Questo film mi ha cambiato come attore, ma anche come padre dei miei ragazzi di 17 e 22 anni. Con loro condivido tutto». Capita che il tempo dei giovani non scorra allo stesso ritmo di quello dei padri. Jackman cita una battuta del film: «A volte l'amore non basta». «È una battuta chiave. I protagonisti del film amano moltissimo, ma sentono comunque una mancanza, sono soli di fronte al loro dolore. Invece non dobbiamo aver paura di chiedere aiuto, perché siamo parte dello stesso viaggio». 

E dov'è finito l'interprete di Wolverine, supereroe tra i più amati dell'Universo Marvel? «Wolverine è l'archetipo della mascolinità e sono contento di averlo portato tante volte sullo schermo, ma qui i muscoli del personaggio non erano l'aspetto più interessante, contavano i suoi pensieri» continua il divo, 53 anni e non mostrarli. «Come attore oggi sono nella posizione di poter scegliere e in The Son mi sono preso la libertà di essere me stesso.

Il regista me lo ha lasciato fare e di questo gli sono infinitamente grato». Zeller racconta di aver scelto il cast su Zoom, durante la pandemia. «Laura Dern, la madre, era la musa di Lynch e dunque anche la mia; Hugh Jackman era perfetto per creare empatia con gli spettatori, perché non doveva incarnare un cattivo padre ma un uomo che fa del suo meglio per adeguarsi alle aspettative su di lui. La storia doveva essere lineare, semplice, anche se la linearità è la cosa più complicata da rappresentare. Ma Hugh si è dato pienamente». 

Se Zeller è una conferma, la rivelazione della Mostra è invece Alice Diop, autrice di «Saint Omer», l'unica opera prima in concorso quest'anno: storia di un infanticidio, basata su una storia vera che colpisce al cuore e riflessione potentissima che scava nella complessità dell'universo delle donne immigrate. Saint Omer è il comune che ospita il tribunale dove si svolge il processo a una giovane senegalese accusata di aver ucciso la figlia di poco più di un anno abbandonandola all'alta marea su una spiaggia nel nord della Francia. Tra il pubblico, una giovane scrittrice immigrata, l'alter ego della regista. «Partendo da un fatto di cronaca ho voluto rivisitare in chiave contemporanea il mito di Medea» spiega Diop, alle spalle una lunga esperienza di documentarista. Non per caso il film cita alcune scene del film di Pasolini con la Callas. «Mi ha colpito che durante il processo la madre infanticida raccontasse il suo atto nei minimi dettagli, in modo letterario, come se avesse già fatto il suo storytelling. C'era qualcosa di familiare nel suo modo di narrare, di epico, proprio come un'eco delle immagini pasoliniane». Accolto con emozione e molti applausi, il film si candida senz'altro a un premio importante. 

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Sul tappeto rosso si è preso la sua dose di applausi Casey Affleck, fratello di Ben e protagonista ispirato del dramma «Dreamin' Wild». Nel pomeriggio ha fatto la passerella anche Matteo Salvini in smoking al fianco della fidanzata Francesca Verdini, produttrice del documentario di Anselma Dell'Olio «Franco Zeffirelli, conformista ribelle». E per applaudire il film-mondo di Enrico Ghezzi «Gli ultimi giorni dell'umanità» è arrivato al Lido anche Mario Martone. 

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