Mostra del Cinema di Venezia, Emma Dante torna dopo sette anni: «Le mie donne libere e guerriere»

Mostra del Cinema di Venezia, Emma Dante torna dopo sette anni: «Le mie donne libere e guerriere»
di Titta Fiore
Giovedì 10 Settembre 2020, 08:00
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VENEZIA - Provocatoria, poetica, visionaria, Emma Dante chiude il poker di autori italiani in concorso portando al Lido la forza combattente delle donne raccontate nell'intenso «Le sorelle Macaluso». Il film, passato tra gli applausi in una Mostra dov'è finalmente significativa la presenza delle autrici, e subito candidato a un premio, è la storia di una famiglia al femminile, cinque sorelle senza i genitori, riprese in tre momenti della vita: nell'energia ricca di promesse dell'adolescenza, nella concretezza fattiva dell'età adulta e nel ripiegamento doloroso della vecchiaia, quando i conti con l'esistenza si fanno in levare. Dice la regista: «L'idea della sorellanza mi fa tornare bambina, mi fa pensare alle donne che sanno essere solidali e felici per il successo di una di loro, mi fa pensare alle guerriere e alle conquiste e poi all'amore e alla potenza di quando si sta insieme e infine alla libertà».

Tratto dall'omonimo spettacolo teatrale vincitore del Premio Ubu e rappresentato anche all'estero, rispetto al palcoscenico «Le sorelle Macaluso» perdono un paio di personaggi e acquistano una protagonista in più: la casa, guscio e rifugio, scrigno e prigione delle loro esistenza. In quella casa piccolo borghese del quartiere Brancaccio, a Palermo, con la soffitta trasformata in colombaia per allevare i piccioni che danno da vivere alle ragazze, accade tutto: c'è chi sogna di diventare una ballerina, chi si sente esplodere dentro una irresistibile sensualità, chi ha fretta di crescere per potersi mettere il rossetto, chi cerca nelle pagine dei romanzi di Oriana Fallaci, di Annamaria Ortese e del sommo Dostoevskij il senso di giornate che sembrano non lasciare traccia. «Invece in quelle stanze passa semplicemente la vita, con i suoi accadimenti naturali: ci si innamora, si tradisce, ci si ammala, si muore», commenta Emma Dante. «Finché c'è la casa, tra le persone il legame è indissolubile. Ma nel passare degli anni il tempo agisce come un chirurgo plastico, deforma e ricostruisce, manipola i corpi attraverso i traumi della vita».

Con le dodici attrici del film (per ogni ruolo ci sono due interpreti diverse) ha riempito di colori e di emozioni il red carpet che il presidente Cicutto ha definito in altre occasioni «dechirichiano» per penuria di star. «Noi invece stiamo pensando da mesi a quali abiti avremmo indossato, e se era il caso di mettersi i tacchi alti e lo strascico», ride Donatella Finocchiaro, la sorella maggiore che si fa carico della responsabilità della famiglia. C'è qualcosa di autobiografico in questa storia, Emma? «Niente che abbia vissuto, non ho neppure sorelle. Ma da bambina andavo al mare al bagno Charleston, dove le giovani protagoniste trascorrono una giornata di sole e di tuffi e dove accade l'incidente che peserà come un macigno sulle loro vite. Negli anni Novanta a Palermo era un'istituzione, per me era un luogo del cuore, mi infilavo sotto le palafitte con le amiche, il riverbero della luce e il suono delle nostre voci mi è rimasto impresso». Sette anni fa venne per la prima volta a Venezia con «Via Castellana Bandiera», facendo vincere la Coppa Volpi a Elena Cotta. Come ricorda quel debutto? «Molto caotico, emozionante. Questa volta è diverso. Non possiamo far finta che non sia successo nulla, siamo come in convalescenza, anche chi non è stato contagiato dal virus si porta addosso un fardello. Ricordare è giusto, però ora dobbiamo riprendere a sognare». In una vertigine di politicamente corretto gli Oscar annunciano nuove regole per garantire l'inclusività delle minoranze nelle storie in gara per il miglior film dal 2024, e il festival di Berlino abolisce la differenza di genere nei premi all'interpretazione. Che ne pensa la regista? «Per me un artista è un artista, non guardo mai al sesso, ma al talento».
 


Alle Giornate degli Autori, un bell'applauso ha accolto «Agalma», il documentario che la giovane regista Doriana Monaco ha girato tra i tesori del Mann. «Raccontiamo la vita in uno dei più importanti musei archeologici del mondo, ma ci sentiamo di rappresentare tutti gli sforzi e il lavoro dei musei italiani per ribadire il proprio ruolo nella ripartenza del paese» commenta il direttore Giulierini, ieri alla prima con i produttori Lorenzo Cioffi e Antonella Di Nocera. «Agalma è un documentario di osservazione e di creazione» dice quest'ultima, «applica un rigore estetico non comune nel cinema del reale e uno sguardo che poteva nascere solo da occhi curiosi».

Per il documentario «Extraliscio-Punk da balera» di Elisabetta Sgarbi, con i musicisti del gruppo è tornato al Lido anche suo fratello Vittorio. «Da piccola volevo fare la rockstar, ora parlo di una musica nobile che ha radici mitteleuropee ed è riduttivo relegare nel folklore», spiega la regista-editrice. Pupi Avati, che farà un film su mamma e papà Sgarbi, ha ricevuto al Lido il Premio Bresson dall'Ente per lo Spettacolo.
Da tempo aspetta che il Mibact sblocchi il suo progetto speciale sulla vita di Dante: «È legato ai settecento anni dalla morte del poeta che cadono nel 2021» dice, e dal Lido lancia un appello: «Abbiamo tutto, anche Sergio Castellitto che sarà Boccaccio e narratore. Manca solo il tassello produttivo del ministero. Spero che finalmente si decidano». 

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