VENEZIA - Aspettando di sapere chi vincerà, stasera, il Leone d'oro, la Mostra che celebra i novant'anni rende omaggio al talento e al coraggio del grande regista iraniano Jafar Panahi, oppositore del regime di Teheran e per questo più volte imprigionato, che ora sta scontando una pesante condanna e ha girato in clandestinità, a distanza, il film passato ieri in concorso, «No Bears» (Gli orsi non esistono), in sala dal 6 ottobre con Academy Two e subito candidato a furor di popolo a uno dei premi maggiori. Per lui, davanti al Palazzo del cinema anche un flash-mob solidale con la presidente di giuria Julianne Moore, il direttore del festival Alberto Barbera e il presidente della Biennale Roberto Cicutto.
Potente, esplicito, duro, «No Bears» racconta chi passa il confine e chi resta per testimoniare il proprio dissenso.
Fuori concorso sono passati la serie noir del danese Nicolas Winding Refn «Copenaghen Cowboy» (prossimamente su Netflix) e in prima mondiale il documentario sul nucleare di Oliver Stone: sul tappeto gli effetti devastanti del cambiamento climatico, tra alluvioni, siccità ed eventi estremi e le risposte possibili sul fabbisogno energetico. «Nuclear», scritto con il professore del Mit Goldstein, presenta la sua ricetta controcorrente: costruire nuovi reattori per sostituire i combustibili fossili altamente inquinanti, poiché l'energia green può fornire solo il dieci per cento del fabbisogno. Sostiene il regista: «Il movimento antinucleare, finanziato in parte da grandi gruppi petroliferi, ha convinto governi, opinione pubblica e mass media che l'energia nucleare costituisse un pericolo tossico. Ma il vero pericolo è il cambiamento climatico, io mi preoccupo del futuro della Terra e della salvezza dei miei figli».
Nel documentario il regista di «Platoon» e «Nato il 4 luglio» mette in discussione, con dati e interviste, le conseguenze dei disastri dei reattori di Chernobyl e di Fukushima e documenta i risultati ottenuti da quei Paesi che non hanno mai abbandonato il nucleare come la Francia, oggi al riparo dalla crisi energetica con i suoi 56 reattori funzionanti, la Cina, l'India e la Russia, che ne ha 35 come l'America. «La situazione è deprimente e la paura è l'ostacolo più importante, bisogna invertire questa convinzione, il mio approccio è positivo» s'infervora il cineasta, che però si rifiuta di parlare del suo amico Putin («non lo sento dal 2017») e sui pericoli di una nuova guerra fredda taglia corto: «L'odio tra Usa e Russia viene e va e se siamo furbi dobbiamo cooperare, la soluzione è procedere insieme».