Festival del cinema di Venezia, Gianfranco Rosi e il viaggio di Francesco: «Il mio Papa rock»

Festival del cinema di Venezia, Gianfranco Rosi e il viaggio di Francesco: «Il mio Papa rock»
di Titta Fiore
Martedì 6 Settembre 2022, 11:05
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VENEZIA - Un finale aperto, aspettando altri pellegrinaggi, altre visite pastorali: «Se il Papa andrà a Kiev, io ci sarò. Questo film non è finito». Gianfranco Rosi ha girato «In viaggio», accolto ieri fuori concorso da molti applausi commossi, montando immagini dagli archivi storici vaticani e alternandole a frammenti di alcuni suoi film come «Fuocammare» e «Notturno» che hanno dato al materiale «un'ampiezza maggiore». E in ottanta minuti ha composto il ritratto potente di un uomo mai stanco di spendersi ai quattro angoli del mondo sui temi centrali del nostro tempo: la povertà, le migrazioni, il rispetto della natura, la solidarietà, la condanna di ogni guerra. Non un film su commissione, ma un invito alla riflessione arrivato nel momento giusto: «Da laico, tutto quello che dice Papa Francesco mi appartiene. Tocca temi universali come i politici non sanno più fare e va diritto al cuore delle cose, incurante del politically correct. Il suo sguardo pastorale è una guida». 

Appena eletto, nel 2013, Bergoglio va a Lampedusa («è il prologo del film»).

Nel 2021 compie un viaggio importante in Medio Oriente, Iraq e Kurdistan, e in 9 anni di pontificato visita 59 Paesi, dal Brasile a Cuba, dal Kenya al Sudest asiatico in una Via Crucis del dolore che non conosce confini: «Non potrò mai dimenticare il suo sguardo dopo il tifone nelle Filippine, con i disperati che avevano perso tutto». Nel film lo si vede chiacchierare in aereo con i giornalisti esperti di cose vaticane («mi colpisce la sua capacità di rapportarsi alle persone con un linguaggio chiaro, diretto, che non si presta a doppie letture») e percorrere sotto la pioggia battente, in un momento indimenticabile, piazza San Pietro deserta nel Venerdì santo della pandemia. Infiniti i suoi incontri con i protagonisti della nostra epoca: «Molto forti quelli con il presidente turco Erdogan, con il patriarca russo Kyrill e con l'ayatollah al-Sistani, ognuno avrebbe meritato un documentario a sé». Osservando il Papa che guarda il mondo, Rosi finisce per impostare un dialogo a distanza tra il flusso delle immagini d'archivio e le emozioni documentate dal suo cinema, e a fondere l'attualità e la riflessione critica sul tempo presente in un corto circuito capace di riscrivere accadimenti già noti. 

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Cosa lo ha spinto a realizzare quest'opera? «È stata un'esperienza di vita che è accaduta, non prevista. La prima sfida? Trasformare in linguaggio cinematografico filmati realizzati per esigenze televisive». Il regista Leone d'oro a Venezia con «Sacro Gra», ora al lavoro su un nuovo progetto ancora top secret, ha seguito personalmente il Papa a Malta e nel recente viaggio in Canada, quando Francesco ha chiesto pubblicamente scusa ai nativi per le sopraffazioni dei missionari, parlando di «olocausto culturale». E quante volte lo ha incontrato? «Volle conoscermi dopo aver visto il lavoro che avevo fatto sui migranti in Fuocammare e poi sono andato a salutarlo a Malta. Non saprei ripetere che cosa mi ha detto, di lui mi colpiscono soprattutto i silenzi. Uno di quei momenti, in una grotta proprio a Malta, l'ho anche filmato e ho voluto inserirlo nel film». È ormai caduta la barriera tra cinema del reale e fiction? «Penso di sì, anche se siamo sempre in pochi a lavorare su certi linguaggi. Netflix non trasmetterà mai i miei film perché non rientrano nei suoi algoritmi». Pensa che il Papa, come molti dicono, sia un uomo solo? «Il film racconta un uomo di buona volontà che conosce la solitudine e il coraggio: l'ho visto girare sulla papamobile senza alcuna protezione e senza paura. Ma ho visto anche folle di ragazzi vocianti in attesa di vederlo: in questo è proprio un Papa rock». 

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