Sarà colpa dei tempi che viviamo, così difficili e insicuri, ma certo non è un caso che tanto cinema del mondo torni a interrogarsi su sentimenti essenziali, sulle emozioni, i legami profondi, ma anche sulle insofferenze e le incomprensioni che tengono insieme il microcosmo misterioso della famiglia. Sul gesto struggente della cura, piuttosto che sul bisogno del confronto generazionale. Sul coraggio di affrontare situazioni estreme senza farsene travolgere o sulla curiosità di scoprire nel passato di un padre, di una madre, la parte più profonda di sé.
Dopo la dolce nostalgia di «Estate 85», uscito da poco nelle nostre sale, Francois Ozon porta a Cannes, con «Tout s'est bien passé» il tema incandescente del suicidio assistito. Un tabù sociale e etico, quello dell'eutanasia, che il regista, secondo dei francesi in gara, saggiamente non racconta con il piglio dell'opera di denuncia o del pamphlet politico. Il film, accolto con molti applausi, è un corpo a corpo emotivo tra André Dussolier, il padre charmant ridotto da un ictus a uno stato quasi vegetativo, e Sophie Marceau, la figlia che dovrebbe accompagnarlo a morire. «Il mio personaggio, Emmanuelle» dice l'attrice, «ama profondamente la vita ed è anche una donna generosa, vitale, che non si tira indietro mai e che, per amore di quel papà cui vuole essere di supporto fino alla fine, accetta l'inaccettabile».
Stesso tailleur pantalone nero, stessa camicia bianca, stesso taglio di capelli con la frangia disordinata sugli occhi ridenti, Jane Birkin e Charlotte Gainsbourg sul red carpet sembrano sorelle. Lei, la madre che furoreggiava negli anni della Swinging London recitando in topless in «Blow Up» di Antonioni e diventò l'icona globale della trasgressione erotica di quei tempi sospirando con il compagno Serge Gainsbourg nel disco «Je t'aime... moi non plus», oggi sulla Croisette è testimone e complice della cinebiografia che la figlia Charlotte le ha dedicato con sguardo amorevole («Jane par Charlotte»), evento speciale in Cannes Première. Un ritratto intimo e privato su una stagione rivoluzionaria, gioiosa e irripetibile. Gainsbourg, attrice feticcio di autori come Lars Von Trier, provocatori e «maledetti» non meno di suo padre Serge, chiede a Jane di raccontarle com'era davvero l'epoca della liberazione sessuale che aveva in «Je t'aime...» il suo inno innocente. «Non ho mai dormito una notte senza sonniferi» risponde maliziosa Birkin, che ha aperto per la prima volta, a beneficio della macchina da presa, la casa di Serge, rimasta intatta a trent'anni dalla morte, e il suo cuore ancora ferito ai ricordi della tragica scomparsa della figlia Kate. Tutto su sua madre: ecco il senso del lavoro di Charlotte. Che in conferenza stampa spiega: «Questo film è un documentario, certo, ma soprattutto è una lunga avventura emozionante, quasi un pretesto per godere di lei e, allo stesso tempo, raccontare la fine di qualcosa. È stato come fare finalmente punto e a capo, nella sua vita e nella mia. Più la guardo e più la amo».