Cerlino: «Dopo il boss Savastano di Gomorra faccio il colletto bianco»

Cerlino: «Dopo il boss Savastano di Gomorra faccio il colletto bianco»
di Alessandra Farro
Martedì 28 Settembre 2021, 10:46 - Ultimo agg. 29 Settembre, 07:12
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Dal boss Pietro Savastano di «Gomorra - la serie» al boss Cosimo Patruno della nuova fiction «Fino all'ultimo battito», in onda su Raiuno ogni giovedì, a colletto bianco della camorra in «Il giudizio», primo film di Gianluca Mattei e Mario Sanzullo (con Caterina Murino, Fabrizio Nevola, Tobia De Angelis, fratello di Matilda, e Sandra Ceccarelli), disponibile su Prime Video, a criminale narcolettico al suo ultimo colpo prima della pensione in «American night», esordio alla regia di Alessio Della Valle (con Emile Hirsch, Jonathan Rhys Meyers, Paz Vega e Michael Madsen), presentato alla Mostra di Venezia: Fortunato Cerlino, 50 anni, napoletano, veste bene i panni del cattivo, ma nella vita preferisce la meditazione in Toscana insieme alla figlia e le sfide: a breve sarà su Netflix in una serie per bambini, di cui non vuole ancora dire nulla.

Lei recita in due opere prime, Cerlino, «Il giudizio» e «American night»: una scelta o un caso?
«Ho chiarito da subito alla mia agente, Tiziana Di Matteo, che dopo il successo con Gomorra nel caso fossero arrivate proposte di giovani autori e opere prime, io non mi sarei tirato indietro, ed è stato così.

Anche nel caso di lavori con situazioni economiche diverse, se si creano gli spazi durante l'anno che posso dedicare a film esordienti, voglio poter dire di sì».

È andata così con «Il giudizio»?
«Non si tratta di un lavoro a low budget, ma in ogni caso è un'opera prima. Mi sono convinto del tutto dopo aver incontrato il produttore del film, Alessandro Tartaglia, la cui vicenda personale ha ispirato in qualche modo la storia. Alessandro non c'entra niente con quello che ha fatto il padre, ma ne ha pagato comunque le conseguenze e non è stato facile ripartire con quel cognome. Poter raccontare di come, a volte, le scelte dei padri ricadono sui figli mi ha così colpito che ho deciso di volerci essere».

Nel film lei è un modello sbagliato da seguire per suo nipote Junior.
«Senior, il mio personaggio, ha una storia particolare. A volte pensiamo di essere furbi a prendere delle scorciatoie, ma finiamo in meccanismi più grandi di noi. Lui ha peccato di confusione, pensando di essere il protagonista della storia che, invece, era molto più grande di lui e l'ha schiacciato. Pensava di aver trovato un modo facile per guadagnare, convinto di tirare i fili dei burattini, quando non era che una delle marionette. Nel film, però, non c'è nessun processo e tutto questo è sottinteso. Il titolo, infatti, rappresenta quello che non viene raccontato: il giudizio. È la storia di tre generazioni, un nonno, io, un padre e un figlio. Su chi sia davvero un modello da imitare. Su un viaggio verso il carcere in cui è rinchiuso il nonno durante il quale padre e figlio possono ritrovarsi».

Non un boss, ma ci manca poco, anche stavolta.
«È un privilegio che capita poche volte nella carriera di un attore, riuscire a costruire un personaggio che abiti nell'immaginazione collettiva, l'importante è che il pubblico ricordi l'interprete dietro alla figura del boss. È divertente pensare che sia arrivato a interpretare certi personaggi, perché ho cominciato la mia carriera recitando ruoli comici per il teatro, avevo il physique du rôle adatto e ne ero contento, poi il destino della mia carriera è stato diverso, ma ne sono soddisfatto: si dice che per fare un ruolo comico bisogna essere felici dentro e per farne uno drammatico bisogna essere due volte felici dentro».

Prenderebbe parte a una commedia?
«Nick Bottom di Sogno di una notte di mezza estate dice: Fatemi fare il leone ma anche la principessa!. Vuole fare tutto, perché ha voglia di narrare, io vivo la stessa frenesia di Bottom. Mi piace il mio lavoro e qualsiasi opportunità per me si traduce in un grande privilegio. Credo sia uno stato dell'attore in generale, vedere nei ruoli la possibilità di narrare cose diverse. Io non mi reputo una persona interessante e non faccio questo lavoro per esaltare la mia personalità, ma per raccontare delle storie. Ho il desiderio di interpretare tanti ruoli e non lo traduco in una bulimia dell'ego, anzi».
 

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