Venezia, la sfida di Mainetti: «Un kolossal italiano»

Venezia, la sfida di Mainetti: «Un kolossal italiano»
di Titta Fiore
Giovedì 9 Settembre 2021, 08:15 - Ultimo agg. 17:32
5 Minuti di Lettura

Venezia

Un po' armata Brancaleone, un po' bastardi senza gloria, i quattro protagonisti di «Freaks Out» hanno i superpoteri come gli Avengers e la vigliaccheria ardimentosa dei personaggi della commedia all'italiana. Circensi senza casa, combattono a mani nude contro il nazismo, ma solo perché la sorte li ha tirati per i capelli in una storia più grande di loro. Matilde la donna elettrica, Fulvio l'uomo scimmia, Cencio il ragazzo che governa gli insetti e Mario l'uomo calamita partono per salvare il loro capocomico Israel, scomparso in un rastrellamento nella Roma del 43 occupata dai nazisti, e finiranno al centro di una titanica e catartica battaglia.

«Volevamo raccontare dei mostri che agiscono come uomini e uomini che si comportano come mostri» dicono il regista Gabriele Mainetti e lo sceneggiatore Nicola Guaglianone, autore del soggetto originale. «Dopo il successo di Jeeg Robot ci siamo chiesti: e ora? Ci divertiva l'idea di accostare al freak un elemento conflittuale come il nazismo».

Attesissimo, più volte rimandato, una lavorazione anche travagliata durata 26 settimane rispetto alle 12 iniziali, «Freaks Out» è un kolossal come raramente se ne vedono nel cinema italiano e in sala è stato accolto da dieci minuti di applausi.

Per Andrea Occhipinti, che lo ha coprodotto con lo stesso Mainetti, «unisce la qualità del nostro artigianato alla spettacolarità degli effetti speciali in una storia dal respiro internazionale»; per Paolo Del Brocco di Rai Cinema, «segna uno spartiacque». Nel film i quattro fenomeni da baraccone, tra mille pericoli, trovano lavoro nell'unico circo in attività, il Circus Berlin, diretto da un pianista pazzo e preveggente a caccia di persone dotate di poteri speciali per far vincere la guerra al Fuhrer. «Prendiamo la grande storia e la rielaboriamo mescolando passato, presente e futuro» spiega il regista, «alla fine i protagonisti di questa avventura cercano una cosa sola, proprio come facciamo noi in questo periodo: un abbraccio».

Claudio Santamaria, che recita ricoperto di peli, racconta di aver passato al trucco quattro ore al giorno: «Sembro Chewbecca di Guerre Stellari, è vero, ma dietro la maschera c'è la sostanza, il mio personaggio viene da una famiglia nobile, è colto e appassionato delle avventure del Conte di Montecristo, ha un'anima complessa».

Giancarlo Martini è l'uomo calamita, Pietro Castellitto, premiato nel 2020 a Venezia per «I predatori», è l'albino che ordina agli scarafaggi di comporre una svastica: «È un film che non ha paura di essere spettacolare» dice, «sostenuto da una sceneggiatura molto equilibrata e da una grande cura dei personaggi. Ognuno ha un orizzonte, un bagaglio di idee che gli permette di costruirsi un passato, e quindi una vita. Per me le riprese sono state un master di recitazione e di regia». Matilde, la supereroina innocente capace di incenerire, è Aurora Giovinazzo. Mainetti: «Sembra una ragazzina ingenua, diventa una guerriera inconsapevole. Nel mio modo di narrare, l'elemento femminile resta centrale. All'inizio i personaggi sono impauriti e codardi, poi riescono a tirare fuori la parte più bella di sé, lei diventa una donna, un angelo ribelle che ci illumina, libera nella sua diversità».

Dopo il successo di «Jeeg Robot» (un milione di spettatori in epoca pre Covid), il regista torna nelle sale dal 28 ottobre, sperando di ripetere l'impresa: «Il film è per tutti, ho cercato di raccontare una polifonia di sentimenti». I suoi Freaks sono creature speciali, dei puri folli in un mondo impazzito («e infatti in inglese to freak out significa dare di matto»). Santamaria usa una metafora per descrivere l'emozione di lavorare ancora con il regista di «Jeeg Robot»: «Se quella storia è stata lo scavo preliminare, questo film è la diga». Grandi le aspettative di tutto il team e già molte le richieste dall'estero, aggiunge Occhipinti. Sul tappeto rosso una folla di spettatori eccellenti: con Ferzan Ozpetek, Abel Ferrara, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Simona Ventura e Giovanni Terzi, anche l'ex allenatore del Napoli Rino Gattuso.

Di cinema e antifascismo si parla, invece, in «Django&Django, Sergio Corbucci Encheined», il documentario passato fuori concorso di Luca Rea e Steve Della Casa. Dove si scopre che il regista romano mascherava con gli spaghetti western il suo interesse per la politica e i cattivi erano fascisti con il cinturone da pistoleri. Sullo schermo una lunga intervista a Quentin Tarantino, preparatissimo su Corbucci (voleva scrivere un libro su di lui). Dice Franco Nero, memorabile Django: «Allora ero giovanissimo e inconsapevole dell'impegno politico di Sergio. Ricordo un uomo di una simpatia rara e un battutista irresistibile».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA