Francis Ford Coppola, il più visionario dei grandi registi, il più appassionato, coraggioso e folle, a 83 anni comincerà finalmente a girare il suo film «impossibile», «Megalopolis», 120 milioni di budget, e pur di farlo se lo produrrà da solo, vendendo parte dei famosi vigneti californiani e chissà cos'altro. Rischiando di suo, come fece per «Apocalypse Now», il tormentato capolavoro che lo portò sull'orlo del suicidio, e «Un sogno lungo un giorno», il bellissimo flop che lo costrinse a liquidare gli Zoetrope Studios, e ad ogni tappa della sua leggendaria carriera.
La storia di «Megalopolis», un'epopea distopica da impero romano ambientata in una New York in disfacimento, è titanica per sua stessa ammissione, e dev'essere proprio questo aspetto sontuoso, «larger than life», più grande della vita, com'è tutto il suo cinema, ad attrarlo massimamente. Al Festival di Taormina, dove ieri sera il regista ha festeggiato al Teatro Antico i cinquant'anni del «Padrino» e ricevuto le chiavi di Savoca, racconta: «Ero pronto a girare il film già nel 2001, poi con l'attentato alle Torri Gemelle ho capito che la mia visione di un mondo futuro generoso e amichevole era andata in frantumi.
L'America di oggi, con la decisione della Corte Suprema sull'aborto, lo preoccupa e la sua posizione è netta: «Quello che è accaduto è estremo e davvero terribile, ma forse potrebbe accadere anche di peggio. Con personaggi come Donald Trump rischiamo di perdere la democrazia. È una situazione molto pericolosa». La tutela dei diritti è sacrosanta: «Sono state le donne a creare la società e il progresso umano». E sull'immigrazione. la storia della sua famiglia italoamericana parla per lui: «Mi sarei dovuto chiamare Francesco, ma mia madre preferì chiamarmi Francis perché c'erano troppi pregiudizi sugli immigrati, se eri italiano, o irlandese, non potevi neppure comprare una casa. Oggi la situazione è totalmente cambiata, gli italiani sono integrati alla perfezione e hanno dimostrato quanto sono capaci, quanto è importante il popolo italiano. Ma non è andata sempre così». Padre flautista con Toscanini, nonno appassionato di scienza e tecnologia, sognava di diventare un fisico nucleare come Enrico Fermi. Ora, con sei Oscar vinti, è nella storia del cinema mondiale. «Sono stato il fratello maggiore di registi come Scorsese e Spielberg, venivo dal teatro, lavoravamo in gruppo e ci aiutavamo l'uno con l'altro. Tra noi non c'era concorrenza, eravamo giovani e generosi». Per celebrare il mezzo secolo del «Padrino» oggi il film tornerà in sala in oltre cento copie. Mai pensato di farne un remake? «Non amo questo tipo di operazioni, sottraggono risorse al finanziamento di altre opere e tolgono spazio ai nuovi registi». Non è un fan delle serie, Coppola, né si sente tentato dal genere: «Credo che continueremo a vedere film in sala e che lo streaming non prenderà il sopravvento, nonostante i momenti difficile vissuti con la pandemia. C'è spazio per tutti».