«Grazie ragazzi», Riccardo Milani e Antonio Albanese: «La cultura è salvifica ma i politici la trascurano»

Remake del francese «Un triomphe» di Emmanuel Courcol, a sua volta ispirato a una storia vera accaduta in Svezia negli anni Ottanta

Antonio Albanese è il protagonista di «Grazie ragazzi»
Antonio Albanese è il protagonista di «Grazie ragazzi»
di Titta Fiore
Martedì 10 Gennaio 2023, 10:00
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Un film sul potere salvifico del teatro, dalla parte degli ultimi: Riccardo Milani e Antonio Albanese hanno ambientato tra l'umanità problematica e «apparentemente schiacciata» del carcere «Grazie ragazzi», una commedia toccante dove si ride e ci si commuove e si trova il modo di affrontare temi scottanti del dibattito pubblico come la certezza della pena e il reinserimento sociale. «Non so mai definire bene i film che faccio, ma so perché li faccio: per raccontare le cose, anche le più complicate, per il pubblico più ampio possibile», dice il regista. Qui al centro di tutto c'è il mondo degli detenuti, degli agenti di custodia e quello degli attori, delle loro speranze e delusioni. Il personaggio di Albanese è un attore fallito che sbarca il lunario doppiando film porno. Per disperazione accetta la proposta di un vecchio amico, più fortunato di lui (Fabrizio Bentivoglio) per dirigere un laboratorio teatrale all'interno di un penitenziario. Ma assieme ai cinque detenuti suoi allievi (Vinicio Marchioni, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Giacomo Ferrara, Bogdan Iordachioiu) e una direttrice illuminata (Sonia Bergamasco), finirà per riscoprire il sacro fuoco del palcoscenico e riuscirà nell'impresa impossibile di allestire con quella compagnia improvvisata un classico del teatro dell'assurdo, «Aspettando Godot» di Beckett. In fondo, pensa, nessuno più degli uomini rinchiusi in un carcere sa cosa significhi aspettare qualcosa che non arriverà. Né gli esiti imprevedibili della tournée che ne seguirà riusciranno a fargli cambiare idea. 

Remake del francese «Un triomphe» di Emmanuel Courcol, a sua volta ispirato a una storia vera accaduta in Svezia negli anni Ottanta, «Grazie ragazzi» uscirà in sala giovedì 12 gennaio in 450 copie distribuito da Vision e coprodotto con Palomar, Wildside del gruppo Fremantle in collaborazione con Sky.

Per Milani e Albanese il ritorno di un fortunato sodalizio dopo i successi dei due «Gatti in tangenziale». «Grazie a questo film mi è sembrato di rivivere la sorpresa dei miei inizi» commenta l'attore. «Fino ai ventidue, ventitré anni non pensavo a recitare, ci sono arrivato per caso e ho vissuto sulla pelle l'incontro con la verità del teatro, scoprendo con meraviglia che contribuiva a educarmi. Credo che sia stato lo stesso per gli attori che hanno interpretato i detenuti, bravissimi a tatuarsi addosso la disperazione di quel contesto. Al di là del carcere, avvicinarsi alla cultura è fondamentale per chiunque, anche se oggi sembra che la cosa non interessi a nessuno. Nelle ultime elezioni non ne ho mai sentito parlare, ed è vergognoso». La cultura come opportunità. Milani: «Mi è capitato spesso di girare o presentare i miei film in carcere e so che in quei contesti esistono da sempre certe forme di attività inclusiva. Penso che portare la cultura nei penitenziari possa dare a persone che non la conoscono delle possibilità. Il tema del recupero è importantissimo, si deve intervenire sull'umanità carceraria e sul disagio sociale che c'è a monte, ma sono anche convinto che la certezza della pena sia una necessità. Soffro a vedere le impunità». 

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Rispetto ai fatti di cronaca di quarant'anni anni fa e all'originario film francese, «Grazie ragazzi» ha un finale diverso. Lo sceneggiatore Michele Astori: «Abbiamo cercato di rendere la storia più popolare e più italiana, puntando su due elementi molto forti: il potere consolatorio dell'arte e il valore del riscatto». E se Nicola Rignanese, qui nei panni del capo dei secondini, testimonia del gran lavoro fatto dalla compagnia della Fortezza di Armando Punzo a Volterra, Marchioni sottolinea le difficoltà che hanno vissuto e vivono i teatranti, duramente colpiti dagli effetti della pandemia: «Il teatro ha da sempre un potere salvifico, è incredibile che ci sia bisogno di un film per ricordarcelo. Ma in Italia questo conta poco. Io ho la fortuna di poter alternare da venticinque anni cinema e palcoscenico e sono orgoglioso di aver partecipato a un film che parla degli ultimi, di persone di cui ci si accorge solo quando c'è un'evasione o quando qualcuno si suicida in cella». E poi c'è il valore aggiunto del capolavoro di Beckett, «il primo spettacolo che ho messo in scena alla scuola per attori». «Certo», aggiunge Albanese, «questo è un film sull'importanza di parole che sfidano il tempo e ti riempiono di senso. E sulla gioia che ogni volta ci regala la recitazione». 

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