Presentato in versione non definitiva, a causa dei rallentamenti della pandemia da Covid-19, Bruised è la storia di una combattente di MMA (Arti marziali miste) caduta in disgrazia, che deve combattere fuori e dentro il campo. Da un lato lo scontro con una stella nascente, dall’altro quello per l’affidamento del figlio di sei anni. «Ho parlato con diversi registi, affermati e emergenti, ma nessuno riusciva a capire questa storia, nessuno era in grado di entrare nella mia testa» racconta l’attrice durante gli incontri virtuali organizzati nell’ambito del Toronto International Film Festival: «La prima volta che ho letto la sceneggiatura era pensata per una venticinquenne, bianca. Ho fatto cambiare idea ai produttori, volevo quel ruolo a ogni costo. Chi non ama le storie degli sconfitti in cerca di rivalsa? Chi non si è sentito almeno una volta così? Il problema era trovare un regista che mi capisse, alla fine mi ha convinto una delle mie migliori amiche. Nessuno aveva più a cuore di me questo progetto, e ho fatto il grande salto».
Salto che all’attrice è valso due costole rotte durante le riprese e a Bruised un accordo da 20 milioni di dollari con Netflix, per terminare la lavorazione del film e distribuirlo sulla piattaforma di streaming. Il tutto anche grazie al passaggio al Festival canadese.
Il 2020 doveva essere l’anno delle registe donne, ma con la pandemia e la chiusura dei cinema, l’uscita in sala di quei film, che dovevano segnare un momento fondamentale, è stata rimandata. Trovare un modo alternativo per diffondere comunque quei contenuti, e cavalcare l’onda di movimenti come il Black Lives Matter, è diventato fondamentale.
Lunghi dread e occhio pesto. È irriconoscibile in Bruised l’ex modella diventata attrice nel 1991 con Spike Lee in Jungle Fever: «Ancora oggi devo ringraziare Spike per avermi fatto interpretare una tossicodipendente, e aver dato importanza non solo al mio aspetto. Dio solo sa quanto mi sono allenata a dire le parolacce per quel ruolo. Non mi è mai tornato utile sul lavoro, ma a casa si».
Da conturbante Bond Girl, che ne La Morte può attendere fece il verso a Ursula Andress, a supereroina. Non solo Catwoman (che le valse il Razzie Award, il premio per la peggior interpretazione), anche Tempesta nella saga degli X-Men (recentemente ha dichiarato di non essersi trovata a suo agio con il regista Bryan Singer, accusato in passato di molestie). Ruoli drammatici nel curriculum e il vezzo per i film d’azione (ne combina di ogni in John Wick 3 al fianco di Keanu Reeves).
Halle Berry è già un nome scritto sui libri di storia, anche se questo l’amareggia profondamente: «Sono stata la prima donna di colore a aver vinto un Oscar come miglior attrice protagonista per Monster’s Ball, e dal 2001 spero che qualcuna possa raggiungere quello stesso traguardo. Ma ogni anno rimango delusa, e sempre più sola».
Quei cambiamenti auspicati forse sono all’orizzonte, anche se con questa performance rischia di essere nuovamente lei la vincitrice.
Halle Berry presenta al Toronto International Film Festival il suo primo film da regista: «Ho lottato con i pugni per dirigere Bruised»
di Eva Carducci
Sabato 12 Settembre 2020, 13:08
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