Hammamet, il racconto di un'agonia: così Craxi perse il potere e la vita

Hammamet, il racconto di un'agonia: così Craxi perse il potere e la vita
di Titta Fiore
Giovedì 9 Gennaio 2020, 07:39 - Ultimo agg. 19:28
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Racconta la lenta agonia di un uomo «che ha avuto grande potere e ora va verso la morte, dopo averlo perso rovinosamente» il film che Gianni Amelio ha dedicato agli ultimi mesi di Bettino Craxi rifugiato in Tunisia. Della leadership politica dell’ex segretario del Psi travolto da Mani Pulite «Hammamet» conserva solo le tracce nella prima scena che ricostruisce con precisione fotografica il congresso dell’89.

Fu il congresso svolto nell'ex fabbrica dell'Ansaldo di Milano dell'89 (quello dei garofani rossi e della piramide di Panseca) che segnò il vertice della stagione craxiana e, allo stesso tempo, ne costituì per certi versi l'inizio della fine. Ma il cuore del film, che esce oggi in 430 copie distribuito da 01, è rappresentato dai tormenti della memoria di un uomo intrappolato nella sua stessa storia, «macerato fino all'autodistruzione nei rimpianti, nei rimorsi e nei desideri». Nei suoi panni giganteggia Pierfrancesco Favino, protagonista di una performance mimetica affidata non solo alle cinque ore e mezza quotidiane di trucco ma alla riproduzione millimetrica dei gesti, del respiro, del passo reso claudicante dalla malattia e, sopratutto, della voce. «Ho usato il trucco come una porta per dimenticarmi di me» dice l'attore, «sopracciglia e occhiali mi sono serviti per creare una maschera capace di toccare le corde più intime del personaggio».
 

L'IDEA INIZIALE
Sono passati vent'anni dalla morte di uno dei leader più discussi del Novecento italiano e il suo nome, che una volta riempiva le cronache, commenta il regista, «è chiuso oggi in un silenzio assordante e probabilmente ingiusto». Accogliendo la proposta del produttore Agostino Saccà, che gli aveva proposto un film su Cavour e il suo legame con la figlia, Amelio ha rilanciato con la figura di Craxi e ha scelto di metterla a confronto con una figlia «appassionata e decisa» in una sceneggiatura «un po' western, un po' noir». Elettra, Cassandra, Cordelia i riferimenti letterari e mitologici che lo hanno ispirato nella scrittura: «Donne forti che usano il sentimento filiale per aiutare il genitore contro se stesso, oltre che contro il fato avverso». Anche se Craxi è «il motore del racconto», Amelio non usa mai il suo nome, né quello dei suoi familiari: perché? «Perché i nomi sono ovvii e perché non m'interessava fare una cronaca, ho sollevato lo sguardo un poco più in alto, cercato di comporre l'affresco di un'epoca e la parabola emotiva di una persona. Comunque, mi sono dovuto confrontare con un nucleo familiare nel quale sono entrato in punta di piedi. La prima persona che ho incontrato è stata la vedova, Anna. Ho scoperto una cinefila inaspettata, appassionata dei western di Anthony Mann. Stefania è una donna impegnata a tenere vivo il ricordo del padre». E Bobo, che ha espresso delle riserve sul film? «Personalmente lo conosco meno, ma ho letto parecchio, perché scrive molto e si fa intervistare moltissimo». Gran parte del film è girato nella vera villa di Hammamet, concessa dalla famiglia come un set fatto e finito. «Craxi non era né un latitante né un esule. Era un uomo condannato in contumacia. Ci si aspettava che dalla Tunisia si presentasse davanti ai giudici, come gli consiglia anche il navigatissimo democristiano che nel film è interpretato da Renato Carpentieri. L'orgoglio, la presunzione di essere nel giusto, quella sua ostinazione a essere giudicato in Parlamento, lo hanno perduto».

LE CONTRADDIZIONI
Ha mai condiviso le sue idee politiche, Amelio? «Non sono mai stato un simpatizzante né ho votato socialista. Però l'episodio delle monetine davanti al Raphael l'ho sempre disapprovato. Non fu un gesto politico. Le idee si combattono con le idee, non con insulti e minacce».
In ogni caso, il regista smentisce vigorosamente di aver fatto un film contro Mani Pulite: «Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Ho raccontato un personaggio con tutte le sue contraddizioni. Se non avessi rappresentato la sua posizione sui giudici, contro i quali ha tuonato tutta la vita, avrei fatto un falso storico. Ma quasi tutte le sue dichiarazioni sono viste dall'obiettivo di una telecamera, quasi virgolettate». E Favino, come si è calato nel ruolo, quali aspetti ha privilegiato? «Una delle cose più emozionanti del film è il rapporto padre-figlia, ho pensato che stavamo rappresentando la fine di una generazione di uomini che avevano con l'emotività un rapporto complesso. E la leadership ti lascia da solo, nella famiglia e nei partiti. Di Craxi si può dire tutto meno che non amasse il suo paese. Faceva parte di una classe politica tecnicamente competente e preparata. Quella generazione sapeva usare la parola noi. Dopo sul noi ha prevalso tristemente l'io».
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