Kirk Douglas morto, l'ultima battaglia di Spartacus: se ne va a 103 anni

Kirk Douglas morto, l'ultima battaglia di Spartacus: se ne va a 103 anni
di Ilaria Ravarino
Giovedì 6 Febbraio 2020, 10:40
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Era sopravvissuto a un incidente in elicottero nel 1991, a un infarto nel 1996, a innumerevoli bufale sulla sua dipartita. E poi nella notte di ieri, a 103 anni, Kirk Douglas non ce l'ha fatta. È morto così, dopo una lunga malattia che dallo scorso aprile lo aveva allontanato dalla vita pubblica, una delle ultime star della Hollywood d'oro, nominato per tre volte come miglior attore - per Il Grande Campione di Mark Robson nel 1949, Il bruto e la bella di Vincente Minnelli nel 1952 e Brama di vivere ancora di Minnelli nel 1956, prima di ricevere un Oscar onorario alla carriera nel 1996 (la moglie Anne, nel frattempo, gliene aveva regalato uno finto). Aveva recitato in più di ottanta film e si era ritirato nel 2004: «È con profondo dolore che vi annuncio la morte di Kirk Douglas - ha scritto in una dichiarazione ufficiale il figlio Michael - è stato una leggenda per tutto il mondo, un attore che ha vissuto negli anni della Hollywood più grande, sostenitore attivo di tante cause umanitarie. Credeva che il mondo dovesse essere un luogo ospitale per tutti».

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DINASTIA
Padre di una dinastia di attori, tra cui il due volte Oscar Michael e il produttore Joel, Kirk era nato da una famiglia di ebrei immigrati dalla Russia (il suo nome vero era Issur Danielovitch Demsky), cresciuto in un sobborgo industriale vicino a New York e si era occupato dei suoi sei fratelli, prima di diventare abbastanza grande per trovarsi un lavoro e aiutare la famiglia - il padre straccivendolo e la madre casalinga. Riuscì a studiare, e laurearsi, grazie alle borse di studio, e dopo il diploma nel 1941 fece il suo debutto a Broadway con Spring Again. Andò in guerra, servendo in marina, ma non abbandonò mai il teatro, che riprese appena tornato dal fronte. Nel 1946 il suo primo provino per il cinema impressionò talmente tanto il produttore Hal Willies che fu chiamato a recitare accanto a Barbara Stanwyck ne Lo strano amore di Martha Ivers, di Lewis Milestone.
Raggiunse la fama nel ruolo di un boxeur ne Il Grande Campione, anche se nella memoria collettiva resta il suo ruolo in western come Sfida all'ok Corral (con Burt Lancaster diventò amico fraterno: girarono sette film insieme) o Uomini e Cobra. Fu il giornalista cinico di Asso nella manica di Billy Wilder, recitò ne Il Compromesso di Elia Kazan, fu il fiocinatore di 20.000 leghe sotto i mari e Ulisse, nel 1954, per Camerini. Genio tormentato nel Van Gogh di Minnelli, Douglas fu una potente voce contro durante l'era McCarthy, producendo e recitando nel film Spartacus scritto da Dalton Trumbo, inviso ai maccartisti (e poi, ironia della sorte, incredibile successo al botteghino). Spirito libero, ricevette la Medaglia alla libertà, uno dei più alti riconoscimenti civili in America per la schiettezza delle sue opinioni e il coraggio di ribellarsi al sistema.

SPIRITO LIBERO
«Sono sempre stato un bastian contrario - ripeteva spesso - quando ero ancora un esordiente, rifiutai un grande film della MGM per recitare ne Il Grande Campione. Mi piaceva la storia e volevo farla. Pensarono tutti che ero pazzo, ma sono ancora convinto di aver preso la decisione giusta». Quel film era Il grande peccatore, che poi passò a Gregory Peck, e quel colpo di testa segnò l'inizio di una carriera leggendaria sempre condotta nel segno di una rigorosa autarchia: «Se mi piace un film lo faccio. Non mi importa se al botteghino va bene o no. Se ne sono orgoglioso, va bene così». La sua natura indipendente lo portò, nel 1955, a fondare la Bruna Productions, una scelta pionieristica nella Hollywood del dopoguerra. Come attore scommise su Stanley Kubrick, per cui recitò in due film, Spartacus e Orizzonti di gloria. A nutrire il suo talento, come disse nell'autobiografia The Ragman's Son «era la rabbia. Mi porto dentro questo sentimento dall'infanzia, ma sono riuscito a trasformarlo in un carburante per le mie azioni in scena». Douglas lavorò spesso con il figlio Michael, che non nascose mai la difficoltà di crescere accanto a un mostro sacro: «È quasi un miracolo raggiungere quell'età in cui puoi guardare tuo padre negli occhi e non sentirti in competizione con lui.
Nel mio caso, ci sono voluti sessant'anni».

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