L'Italia di Guadagnino sfida Del Toro all'Oscar

L'Italia di Guadagnino sfida Del Toro all'Oscar
di Titta Fiore
Mercoledì 24 Gennaio 2018, 10:17 - Ultimo agg. 10:18
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Era dai tempi di Benigni con «La vita è bella» (fine del secolo scorso, in pratica), che un titolo italiano non entrava nella categoria più prestigiosa degli Oscar: miglior film. Ora tocca a Luca Guadagnino tentare l’impresa. 

Il suo «Chiamami col tuo nome», da domani nelle sale, gareggia non solo come miglior film, ma anche per la sceneggiatura non originale di James Ivory e Walter Fasano dal romanzo di André Aciman, per il miglior attore (Timothée Chalamet) e per la canzone originale («Mistery of love» di Sufjan Stevens). Quattro candidature «pesanti», sottolineate dalla nomination dell'italiana Alessandra Querzola per gli arredi di «Blade Runner 2049».

Non sarà una sfida facile. Guadagnino dovrà vedersela con pezzi da novanta dell'industria del cinema, il prossimo 4 marzo al Dolby Theatre, a cominciare dalla testa di serie «La forma dell'acqua» di Guillermo Del Toro, già vincitore del Leone d'oro a Venezia e favorito ora con 13 nomination. Il resto della rosa non è da meno: «Tre manifesti a Ebbing, Missouri», storia caustica e potente su una donna a caccia dell'assassino di sua figlia con una Frances McDormand capace di fare la differenza, con sette nomination; «Dunkirk», l'affresco storico di Christopher Nolan sulla Seconda guerra mondiale con otto; «Il filo nascosto» di Paul Thomas Anderson, con sei; «Scappa: Get Out», commedia horror a sfondo razziale del nuovo talento Jordan Peele, con quattro; e, nella Hollywood del dopo Weinstein che si sforza di mostrarsi più attenta al mondo delle donne, «Lady Bird», il dramedy di formazione al femminile di Greta Gerwig, già attrice ed eroina del nuovo cinema «indie» americano che ha conquistato pubblico e critica con la sua opera prima, candidata a cinque nomination.

Partirà dalla Notte delle Stelle la rivincita del cinema italiano, uscito dall'ultima stagione con le ossa rotte e un preoccupante -46 per cento di incassi al botteghino? Difficile dirlo, alla vigilia di un tour promozionale faticoso e impegnativo quanto una campagna elettorale. Ma è curioso che a sostenerne il peso (e l'entusiasmo dei laudatores del giorno dopo, prodighi di auguri e di consigli) sia un autore raffinato e cosmopolita solitamente alquanto trascurato dalle nostre parti. Già, perché questo è capitato finora a Luca Guadagnino, origini siciliano-algerine, cresciuto un po' in Africa, un po' a Palermo, poi a Milano e in giro per il mondo, amico di Laura Betti e di Tilda Swinton, affascinato dalle atmosfere eleganti e rarefatte dei milieu intellettuali e borghesi e dal conflitto dei sentimenti, autore di piccoli cult come «Io sono l'amore» e «A Bigger Splash», presentati con alterne fortune in Italia e portati al successo dal pubblico anglosassone. Gli è capitato, come spesso accade e non solo agli artisti, di non essere profeta in patria. È per questo motivo che il distributore internazionale di «Chiamami col tuo nome» ha preferito invertire il calendario delle uscite e partire dal Sundance di Robert Redford e dalla Berlinale: una strategia che ha pagato nel favore della critica e degli spettactori, nei tanti premi di categoria già vinti e ora nell'attenzione dell'Academy.
 
La storia? «Chiamami col tuo nome» racconta il legame d'amicizia che poi si trasforma in amore tra due persone colte e raffinate, aperte ad ogni esperienza, sullo sfondo degli anni Ottanta italiani: a Crema, in una villa immersa nel verde di un professore d'arte classica, poligrotta e ospitale, s'incontrano due ragazzi, il diciassettenne Elio, figlio del padrone di casa, pianista di talento e curioso del mondo, e uno studente alle prese con una tesi di dottorato, ospite nella villa durante un'estate rovente, carica di promesse e di aspettative. Chalamet, nei panni di Elio, ha conquistato tutti (e forse, come sostengono gli appassionati di strategie mediatiche, gli avrà giovato anche la simpatia per la sua netta presa di posizione nella campagna contro le molestie sessuali). Altro particolare interessante: il videoclip della canzone di Sufjan Stevens candidata all'Oscar è stato girato in parte nel Museo Archeologico di Napoli, tra le meravigliose statue dell'antichità classica.

Saranno, in ogni caso, Oscar all'insegna del politicamente corretto: nomination a una regista donna, Greta Gerwig e, memori della campagna «sowhite», troppo bianchi, a diversi attori afroamericani: da Octavia Spencer a Mary J Blige, da Denzel Washington a Daniel Kaluuya. Meryl Streep consolida il suo record, collezionando la 21esima nomination, al contrario del suo regista Spielberg e del compagno di set in «The Post», Tom Hanks; Christopher Plummer, subentrato in corsa a Kevin Spacey in «Tutti i soldi del mondo», gli ha soffiato anche la possibilità di un premio dato per sicuro. Fuori dai giochi un altro favorito della vigilia, James Franco (per «The disaster artist»), uno degli ultimi big coinvolti nello scandalo molestie.

Aspettando il fatidico galà che vale una carriera, Guadagnino non si ferma: ha pronto il remake di «Suspiria» con Dakota Johnson e prepara «Burial Rites» con Jennifer Lawrence. Giusto trent'anni fa Bernardo Bertolucci conquistò l'Oscar per il miglior film e altre otto preziose statuette dell'Academy con «L'ultimo imperatore»: l'anniversario importante sarà festeggiato con una proiezione speciale al Chinese Theatre nel corso del festival «Los Angeles, Italia», a pochi giorni dalla cerimonia. Un buon viatico.
 
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