Libero De Rienzo: l'ultimo viaggio
di «Picchio» e il ritorno alla terra del padre

Libero De Rienzo: l'ultimo viaggio di «Picchio» e il ritorno alla terra del padre
di Giuseppina De Rienzo
Sabato 24 Luglio 2021, 16:34 - Ultimo agg. 19:23
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C'è Libero sul pianerottolo della mia casa.
Non provo meraviglia a scoprirlo là.
Sono abituata alle sue sparizioni e ai ritorni senza preavviso, anche dopo mesi di silenzio e lontananza.

Comportamento simile a quello di mio padre, sempre a mezz'aria, impegnato soprattutto a inseguire le sue fantasie, la forza che poi gli ha consentito di accettare la mancata realizzazione di gran parte dei suoi progetti.
Aspettando un mio cenno per entrare, Picchio mi passa con gli occhi la tenerezza che riserva a me, uno squarcio di luce privo della sua aria indagatrice. Si avvicina con uno scatto, lasciando in primo piano l'eterna sigaretta tra le dita, e infine l'altro braccio che, in discordia col perfetto squadro delle spalle, rimane più basso, come se da quel lato lui avesse da sempre retto il peso del mondo.

Mi abbraccia, restandomi addosso leggero, guidato da una precisa sapienza di appartenenza che indirizza il più implume dei volatili. Poi torna verso la porta. Mi dice che va via. Conosco la strada, mi rassicura.

Testimone di quella sicurezza è una foto, tra le tante che in queste ore continuo a rivedere: lui addormentato in un passeggino sotto lo sguardo innamorato di sua madre. Pupa, da poco dimessa da un ospedale della sua città, Napoli, sta lentamente riprendendo le forze dopo una complessa operazione al cervello. Siede accanto a me sulla panchina di un'antica cappella privata, esterna ai muri del cimitero di Paternopoli, anche lei felice di portare Picchio - come ha scelto con Fiore di chiamarlo - a conoscere il nonno irpino, Pasquale. Era il 16 marzo 1978. Senza dircelo, quel viaggio covava il senso della fuga, la ricerca di rifugio presso una terra che già dal nome promette riparo. Paternopoli, da patèr - pòlis, è città del padre.

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Per noi, a cominciare dai miei fratelli, Gigi e Fiore, fino alle rispettive famiglie, tornare in quei luoghi procura sempre forti emozioni. Accanto all'acclarata passione per il mare, cerchiamo ogni volta conferma del vincolo d'amore con quel magma che osa pulsare fin sotto l'erba promettendo straordinari frutti, e ahimè a volte perfino morte.

L'infinita serie di curve che accompagnano quei rari viaggi, il conforto delle colline intorno sempre regalano la larga immersione in un respiro che sa accogliere sospendendo ogni affanno.

Come accadde quel giorno, mentre la radio diramava in quegli istanti la notizia del sequestro di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. Dentro la luce verde della campagna, ci parve di poter allontanare pure la ferocia di quella realtà.

Non proseguimmo fino alla piazza. Decidemmo di restare all'imbocco del paese, fermandoci sull'unica panchina a lato della cappella di Santa Maria del Piano, confinante con i muraglioni del camposanto non ancora trasformato dal terremoto dell''80 che richiese l'aggiunta di una sorta di depandance. Una volta il vecchio cimitero era ombreggiato dai castagni che allungavano rami fin sui quattro affreschi del 600 custoditi nella cappella. Dopo il sisma che ha squassato case, strade, piazze, e identità, i proprietari hanno potuto provvedere solo al consolidamento strutturale del piccolo luogo di culto.
Rivedendo quella foto ho pensato a una coincidenza in apparenza strana: Picchio riposerà esattamente dietro quella cappellina, nello spazio d'aria adiacente al cimitero.

È pura casualità? O piuttosto la chiusa di un'ellisse, il tracciato, sia pur aereo, dell'esistenza toccata a Libero?
Chissà. Forse chiamiamo destino tutto quanto è già avvenuto.
Picchio sarà arrivato a Paternopoli, mi dico, superato l'imbocco del paese si sarà avviato dritto al Tuoro, dove il vigneto di famiglia, gonfio di grappoli color rubino, ha stregato negli anni l'intera famiglia.
Del bisnonno Fiore, mio fratello spesso ha raccontato a Picchio della sua somiglianza con lui, sia nei tratti che nel carattere: insofferente, riluttante alle imposizioni...

Della nicchia che contiene i resti dei nostri nonni: Maria Giuseppa e Fiore De Rienzo - questa la scritta su un marmo ancora bianco e levigato - mio fratello ed io spesso abbiamo sorriso, dicendoci che per noi due era già tutto deciso, compresi i nomi sulla lapide.

Quell'urna ha riunito, dopo una separazione lunga quanto una vita, il corpo di mia nonna a quello di nonno Fiore, morto a 33 anni per la spagnola.
La spagnola?! Mi urla Picchio camminando su e giù per il filari. Ma come ha fatto quella...? storcendo gli occhi. Come ha potuto arrivare fin qua a sporcare l'innocenza di queste colline? maledicendo la Morte che, imperterrita, nascosta dentro un saio, aveva aspettato Fiore sotto le viti.
Anche Maria Giuseppa l'aveva vista sedersi, senza fretta. A intervalli, ne spiava le mosse.

Dio! Ora si è poggiata su una pietra. È vicina. Eppure il suo sposo ha appena aperto gli occhi, un'ombra di tenerezza per lei che gli cambia una camicia dietro l'altra, e uno sguardo di desiderio alla fisarmonica abbandonata sulla sedia. Lei prende lo strumento, lo poggia sul letto, e accompagna la mano inerte di lui allargando il mantice per rubare un risucchio di ossigeno e passarlo a Fiore. Così Maria Giuseppa segnava il tempo, con i rantoli del suo uomo, raddoppiando gli accordi. Inutilmente, se la Morte, è a un passo.
Sei uguale al tuo bisnonno, diceva Fiore a Picchio, stessi occhi, stessi capelli, intollerante, impaziente, stretto alla fisarmonica come a un'amante. Solo così accettava di andare a controllare gli uomini che nella contrada Tuoro lavoravano anche alla composizione degli ermici di argilla per i tetti del paese. In groppa al cavallo, e con la fisarmonica pronta a spalancare i mantici, senza mai tralasciare di bestemmiare il destino che gli aveva negato di dedicarsi alla musica, si spingeva fino al limite della strada dove poteva scorgere la collina del paesino di fronte: Gesualdo, con in cima il castello di Carlo don Gesualdo che, dopo aver deciso l'assassinio della moglie Maria d'Avalos e il suo amante, fuggì via da Napoli ritirandosi nel suo castello, a comporre madrigali fino al suo ultimo giorno.

Il sogno, la fuga, la fantasia.
Un'indole che il bisnonno Fiore ha trasmesso anche a suo figlio Pasquale, che lo perse all'età di 3 anni, lasciato perciò a mezz'aria, aggrappato solo alla immaginazione, fedele alle sue colline e alla voglia di inventare: suonare uno strumento anche senza conoscere la musica, salire su un palco e recitare, come spesso gli è capitato in paese.

Nutrito fin da bambino dalle passioni del suo giovanissimo padre, Picchio ha invece potuto scoprire presto, realizzandole, le sue vocazioni: i misteri del mare e dei suoi fondali, teatro, cinema, inchieste televisive, e altro, incamerando una voracità di vivere accanto alla voglia di fuggire, e rintanarsi, trovare sollievo dall'ombra mai sanata, rimasta a galleggiare nel brillio del suo sguardo.

Assorbendo tutto quanto è appartenuto all'anima di chi lo ha generato: compresa la generosità di sua madre, spesso Picchio è rientrato nella casa romana del padre, presentandosi, anche in inverno, a torso nudo, spiegando di aver semplicemente dato pullover e cappotto a chi ne aveva bisogno.
Un coacervo di pulsioni, che restano misteriose pure a chi lo ha amato e conosciuto. Eccetto la sua fame di leggere, e ossessiva la smania di scrivere. All'età di 3 anni, davanti ad ogni piccola esposizione di libri, chiedeva a chiunque fosse presente di leggergli qualcosa; cominciando poi, più tardi, a riempire una folla di quaderni rilegati da copertine nere, con una grafia fatta di minuscoli segni illeggibili.

Alla fine, imprigionato nella sua casa, e poi nel gelido loculo di un obitorio, Picchio di certo ha dovuto tenere a freno il suo incontenibile bisogno di dilatarsi assieme all'aria. Ma ora che gli hanno tagliato via lacci stringhe e sacco, potrà liberare i pensieri lasciandoli a girare sotto le querce e i pioppi della terra che gli ha fornito radici per i suoi talenti, ora al sicuro nel giaciglio che il padre gli ha meticolosamente approntato, adagiandolo nello scorcio d'aria della cappellina dove per una volta ha potuto dormire sereno sotto lo sguardo di sua madre, finalmente accanto al respiro di quell'amore inseguito per la vita.


 

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